Il Covid non ha insegnato nulla e la Regione è passiva davanti al dramma elle RSA venete. La denuncia della CGIL è dura: ”l’integrazione socio-sanitaria è una chimera! Le strutture hanno affrontato l’emergenza Covid impreparate sul piano della gestione sanitaria e continueranno ad esserlo con la definizione dei nuovi standard di personale soprattutto infermieristico che saranno, come pare di intuire, miseramente insufficienti. LA DGR 996/2022 esclude il Sindacato dalla Commissione per la definizione degli standard di personale mentre include i datori di lavoro e i funzionari del sociale. Fuori anche il Sanitario e la sua esperienza in materia di gestione del paziente anziano”.
Secondo il sindacato “La Regione Veneto non esercita da oltre venti anni l’unica vera autonomia attribuitale dalla Riforma del Titolo V del 2001 lasciando il sistema nel caos, nell’assenza di controlli di qualità sull’assistenza, con standard di personale antichi al limite dello schiavismo e dentro una fuga senza precedenti di operatori che scappano da condizioni di lavoro pesanti e retribuzioni bassissimi”. Inoltre la competizione tra enti pubblici (Ipab) e i privati avrebbe raggiunto livelli preoccupanti e starebbe spingendo l’intero sistema, a partire dalle IPAB che nella provincia di Verona sono 16 sulle 78 totali, a trasformarsi in Fondazioni o, peggio, ad appaltare interamente l’assistenza alle solite cooperative sempre pronte a correre in soccorso.
Prosegue il sindacato: “I cambi di Contratto Nazionale al personale sono all’ordine del giorno in una rincorsa al Contratto meno costoso che sta ottenendo come risultato una fuga sempre più massiccia degli operatori. Alla fuga degli operatori, soprattutto infermieri, la Regione Veneto risponde inventando l’Operatore Socio Sanitario con formazione complementare, una figura non sanitaria che svolgerà mansioni sanitarie. Invece che aumentare standard di personale e retribuzioni e migliorare per questa via l’assistenza, la Regione abbassa i livelli di assistenza sanitaria affidandoli a personale poco formato. Come si giustifica – insiste la CGIL – una unica tariffa dell’impegnativa di residenzialità pari a 52 euro al giorno fissata dalla DGR 996 del 9 agosto 2022 a fronte di costi diretti e indiretti delle oltre trecento strutture in Veneto completamente diversi? La tariffa unica, che prevede un aumento dal 1.7.2022 del 3,5% è riconosciuta a tutte le strutture sia che abbiano rinnovato il CCNL 2019-2021 (Ipab) sia che applichino Contratti scaduti dal lontano 2015 e non sottoscritti dalle Organizzazioni Sindacali rappresentative (es:Aiop- Rsa, Aris Rsa…)
Dopo 20 anni di mancate riforme, soprattutto delle IPAB, gli operatori – ribadisce il sindacato – non credono più che le loro condizioni di lavoro e retributive possano migliorare e stanno abbracciando l’idea in massa che dalle strutture residenziali si debba scappare al più presto. Tale consapevolezza, unita alla difficoltà di reperire nuovi OSS e Infermieri non più disponibili ad intraprendere questo lavoro, sta abbassando in maniera importante i livelli di assistenza degli anziani. Le IPAB da 20 anni attendono una riforma, si concentrano sui costi che le strutture devono affrontare, ma mancano di coraggio politico nel chiedere una revisione strutturale dell’intero sistema della residenzialità per anziani non autosufficienti che diventi finalmente integrato con tutta l’offerta socio-sanitaria del territorio.
Cosa fare allora? Queste le proposte della CGIL:
Evitare l’emorragia di personale verso il SSR applicando subito il CCNL della sanità pubblica; includere le Organizzazioni Sindacali nella Commissione per la definizione degli standard Organizzativi per definire standard di personale coerenti con livelli di assistenza dignitosa; definire standard di personale coerenti con carichi di lavoro accettabili; rriformare subito le Ipab: evitare il dumping contrattuale ed eliminare le inefficienze gestionali e infine, analizzare costi diretti e indiretti delle strutture per definire il valore reale dell’impegnativa di residenzialità