Situazione critica al Pronto Soccorso di Borgo Trento. La segnala il sindacato Uil: stamattina c’erano 29 pazienti sulle barelle in attesa di ottenere una collocazione in reparto.
“Mediamente – dice Stefano Gottardi della Uil Fpl- il 20-25% dei pazienti che stazionano nei corridoi del pronto soccorso dopo aver completato l’iter diagnostico sono in attesa del posto letto in reparto, il personale si deve dedicare anche a loro, oltre agli accessi. L’anno scorso – continua- eravamo nelle stesse condizioni ma con l’emergenza Covid. Oggi non è più così, ma il pronto soccorso è ancora il “collo di bottiglia” dell’ospedale per molteplici motivi e il personale sanitario deve affrontare l’ennesima emergenza!” E sottolinea come tutto sia “sulle spalle di chi già affronta un lavoro stressante per far fronte immediato a traumi, incidenti, anziani con comorbilità e il COVID sempre latente e pronto a innestarsi con nuove varianti, una condizione di tensione che logora giorno dopo giorno il fisico e la mente e che, dopo questi terribili anni pandemici, non ci possiamo più permettere”.
La Uil nei gironi scorsi ha scritto al Direttore Generale “che deve prendersi carico responsabilmente del problema e non scaricare le colpe sulle inefficienze della sanità territoriale, anzi, deve coordinarsi e collaborare con l’ULSS provinciale.”
Ma il problema è nazionale.
Per questo il 17 novembre la Società Italiana di Medicina di Emergenza Urgenza ha organizzato una protesta davanti al Ministero della Salute. I medici dei Pronto Soccorso scendono in piazza per attirare l’attenzione sulla crisi di questo fondamentale servizio di ogni ospedale, che è il luogo dove molte volte in pochi minuti si determina la differenza fra la vita e la morte del paziente.
E’ intuitivo quanto siano enormi la responsabilità, l’impegno e lo stress del personale che vi opera, aggravati a dismisura dalla carenza di personale. Perché i medici e gli infermieri dei Pronto Soccorso non sono abbastanza. E questo provoca inevitabilmente ritardi e disfunzioni. Anche perché, pur con tutta la buona volontà, miracoli non se ne fanno.
Mancano più di 5.000 medici e di 12.000 infermieri. E sui grandi numeri si capisce bene quali sono le conseguenze. Negli ultimi 10 anni c’è stato il doppio della mortalità di quei pazienti che per disfunzioni organizzative sono stati costretti a restare in un Pronto Soccorso in attesa di un ricovero in un qualsiasi reparto.
Durante la pandemia i Pronto Soccorso hanno avuto un po’ di respiro. Ci sono stati meno incidenti stradali e sul lavoro a causa del lokdown e del coprifuoco. E poi, sempre per le famose restrizioni, sono mancate tutte quelle richieste di prestazioni improprie che normalmente intasano il triage. Ma è bastato che la pandemia finisse che gli accessi sono subito aumentati. Addirittura del 50% rispetto al 2019. Il che ha portato a un sovraccarico di lavoro per ciascun operatore del 25/50%.
Non è escluso che su questo aumento incida anche il fatto che molti cittadini siano rimasti privi del medico di famiglia e alla fine, non sapendo dove sbattere la testa, finiscano per intasare i Pronto Soccorso anche per motivi che potrebbero essere risolti nell’ambulatorio del medico di medicina generale.
Il sovraccarico di lavoro dovuto alla carenza di personale ha determinato il ricorso a professionisti esterni per coprire i buchi esistenti. Cosa che determina una spesa in più per una sanità già a corto di finanziamenti rispetto a quella di tanti altri paesi europei.