La proposta di Zaia per risolvere il problema della mancanza di medici è semplicissima: lasciare che continuino a lavorare o che tornino al lavoro dalla pensione – ovviamente su base volontaria- i 3 mila medici che hanno dovuto abbandonare il servizio dopo aver raggiunto i 70 anni.
“Non è assolutamente per mancare di rispetto ai nuovi assunti, ci mancherebbe, -spiega Zaia- ma un medico in perfetta salute, con un curriculum di ricerca e studi di alto livello, con un bagaglio professionale unico, con alle spalle centinaia di migliaia di ore in sala operatoria magari a fare trapianti di cuore e polmoni, non capisco perché a 70 anni dovrebbe appendere il camice al chiodo. Paradossalmente, questo stesso medico potrebbe attraversare la strada iniziando a lavorare per una struttura privata”.
Ed effettivamente basta ragionarci un attimo. I limiti d’età per andare in pensione esistono, oltre che per concedere il meritato riposo a chi ha lavorato per una vita, per permettere ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. Ma questo non vale per i medici, dato che l’Università, a causa del numero chiuso e dell’errata programmazione degli ultimi vent’anni, non ne sforna abbastanza. Cade quindi uno dei motivi del limite d’età. Quindi se il medico 70enne se la sente, ha voglia di lavorare ancora ed è in salute, perché il Servizio Sanitario Nazionale si dovrebbe privare della sua opera? Tanto più che i medici pensionati non è che vadano a guardare i lavori nei cantieri, ma per lo più vanno a prestare la loro opera nel privato, che al contrario del pubblico ha capito benissimo che i 70enni di oggi non sono più quelli delle generazioni passate. Sono ancora attivi e in gamba. E allora, ragiona giustamente Zaia, perché privarsene? Specialmente in un momento in cui la sanità soffre per la mancanza di camici bianchi.
“Non ce l’ho con i privati – precisa – ma ho l’obbligo di difendere gli investimenti che il sistema sanitario regionale ha fatto nel corso degli anni e con essi anche le professionalità incardinate. Sono quasi 3mila i medici con meno di 75 anni che potenzialmente potrebbero essere impiegati in Veneto. Il problema va risolto a monte, ma una via è quella di creare i presupposti perché questi medici restino al lavoro, su base volontaria, offrendo loro l’opportunità di continuare a collaborare nel pubblico come farebbero nel privato”