(di Stefano Tenedini) Ieri è stato un giorno speciale per il papa, che ha compiuto 86 anni e li ha voluti festeggiare nel segno della carità, con un riconoscimento a tre persone che trasformano questa virtù in una mano davvero tesa ai più poveri tra i poveri. E così, nel ricordo di Madre Teresa, ha donato un “fiore di gratitudine”, un piccolo mappamondo incastonato in un cubo, simbolo dell’amore che ci tiene tutti insieme. Ha scelto simbolicamente il francescano siriano padre Hanna Jallouf, che vive il dramma di un popolo vittima di una guerra infinita; il clochard Gian Piero, detto Wué, che ogni santo giorno devolve a chi ha ancor meno di lui una parte delle elemosine che riceve; e il veronese Silvano Pedrollo.
Quello tra papa Francesco e l’imprenditore di San Bonifacio era un incontro inevitabile, perché entrambi camminano sulla via degli altri. Il primo è tra le voci più autorevoli e ascoltate al mondo, predica instancabilmente la pace, l’amicizia tra i popoli, parla per chi non ha diritti. Il secondo porta a chi ne è privo un bene apparentemente semplice come l’acqua, ben sapendo che è grazie al prezioso oro blu che crescono non solo i raccolti ma anche la salute, l’istruzione, il progresso sociale. Scavando pozzi, installando tubi che irrigano fanno fiorire il deserto, costruendo scuole e ospedali, mettendo la passione per l’innovazione e i prodotti fatti bene al servizio di una società diversa e più equa. Devolvendo parte degli utili dell’azienda per non dimenticare gli ultimi in Africa, in Asia, in America Latina e sì, anche nella stessa Europa.
(E qui devo fare una confessione personale, che tengo separata dalla cronaca. Non riesco a essere obiettivo, perché a Silvano Pedrollo voglio un bene dell’anima. Da molti anni lo conosco e collaboro con lui e il suo gruppo, nel tentativo di descrivere a parole un mondo di mille dipendenti e un milione di idee, bandiera riconosciuta del Made in Italy. Sono andato credendo di spiegare, e ho finito con l’imparare. Da Silvano apprendo molto più di quanto possa sperare di aver dato. No, non i segreti di come si crei quasi dal nulla e si guidi un’azienda: per carità, scrivo per vivere e considero già questo un privilegio. Ascolto, e imparo.)
Come si possa essere rigorosi e insieme giusti. Come chiudere i bilanci con una redditività che tanti colossi multinazionali invidierebbero. Come usare i profitti generati per sviluppare, innovare e rendere etica e rispettosa l’azienda, ma anche per contribuire un passo per volta a rendere il mondo un posto migliore. Per dirlo con un’immagine, Silvano Pedrollo rispetta i semafori, ma non si ferma davanti agli ostacoli. Quando per partire aveva chiesto un presto in banca, si era sentito rispondere più o meno che non c’erano garanzie. Allora era andato negli Emirati con una valigia di prototipi delle sue elettropompe: al ritorno la valigia era vuota di prodotti, ma piena di lettere di credito.
Idem in Bangladesh: solo che lì l’acqua c’era, ma andava trasferita da una risaia all’altra. Peccato che non avessero i soldi per comprarle: “Dateci delle piccole pompe che durino a lungo, che consumino e costino poco, e le prenderemo”. Di quella piccola pompa – creata con l’obiettivo di soddisfare il cliente e non di massimizzare il profitto – sono stati prodotti milioni di esemplari, e il Bangladesh oggi fa tre raccolti l’anno, non più solo due. Basta poco, ha detto ieri Francesco: “Non è solo una semplice beneficenza: per la carità occorre la vicinanza”.
Uno dei punti fermi di Silvano Pedrollo è che un’impresa dev’essere moderna e competitiva, ma anche consapevole e protagonista del cambiamento. E la competenza nel movimentare l’acqua, per chi crede, è un segno che non può essere ignorato: il Progetto Acqua della Pedrollo ha scavato più di 1300 pozzi in Africa e altrove, e oggi più di due milioni di persone hanno acqua pulita per bere, lavarsi, coltivare e costruire il futuro dei propri figli. Per chi non può pagare il carburante dei generatori, alle pompe sono stati adattati sistemi di alimentazione solari ed eolici: così si preserva anche l’ambiente. E i prezzi sono alla portata dei Paesi più poveri, perché sarebbe uno scandalo speculare sui più deboli. L’acqua non è un business.
Come non lo è l’energia, sempre più costosa arma geopolitica di ricatto. L’azienda lavora per diventare autosufficiente, tra impianti fotovoltaici, riciclo dell’acqua piovana, macchinari a basso consumo e alta efficienza. Le bollette scottano ugualmente, ma i consumi per la produzione si sono ridotti del 30%, e i motori elettrici che muovono le elettropompe risparmiano dal 20 al 50% di energia. Perché un’impresa armonica è vitale, solidale e capace di trasformarsi.
Solo pochi mesi fa, nel ricevere un premio per la capacità di tenere insieme etica e business, Silvano Pedrollo aveva spiegato che “come imprenditore posso contribuire ad alleviare, almeno in piccola parte, i drammi del mondo: povertà, carestia, sete, malattie e mancanza di istruzione. Credo”, aveva concluso, “che negli uomini il bene sia come l’acqua: in profondità c’è sempre, va solo portato in superficie. E nelle aziende il vero successo non si misura con il profitto, ma con il bene donato”. Una visione che (secondo me, ma non penso di essere molto lontano dal vero) papa Francesco potrebbe condividere volentieri.