(di Stefano Tenedini) Per le piccole e medie imprese italiane il 2022 è stato un anno ancora positivo, mentre il 2023 è ancora avvolto nella nebbia. Ci sono diversi seri problemi da affrontare, che si innestano a loro volta sulle crisi globali: manca la manodopera necessaria per crescere, esplodono i costi dell’energia, bisogna comunque continuare a investire per innovare e competere, manca ancora un consolidato modello di gestione finanziaria… E su tutto lo scenario tra gli imprenditori oggi domina una certezza: non possiamo fare più tutto da soli. Il quadro delineato nel bilancio di fine anno dal presidente di Apindustria Confimi Verona, Renato Dalla Bella, non nasconde i timori ma sottolinea che le Pmi si confermano il motore dell’economia veronese.
La pandemia; il rincaro di materie prime ed energia come effetto della mancanza di una politica energetica che richiede procedure più rapide e finanziamenti per favorire l’indipendenza delle aziende; il conflitto in Ucraina e una geopolitica incerta in Turchia e nell’area asiatica, con le tensioni tra Cina e Taiwan; la frenata del PIL e le prospettive di recessione. “Situazioni che come imprenditori ci siamo trovati ad affrontare nel corso dell’anno e che preannunciano un 2023 di estrema incertezza”, spiega. “Le Pmi dimostrano di essere sane, forti, resilienti, di saper innovare e mantenersi all’avanguardia”. Questo si riflette sul livello di occupazione: le assunzioni sono stabili, se rapportate anno su anno, con una riduzione dei contratti a tempo determinato a vantaggio del tempo indeterminato. Ma il dato va letto in rapporto al bisogno di manodopera, che spesso è superiore all’effettiva disponibilità di personale.
“Le imprese devono continuare a esprimere il loro potenziale. Il confronto tra imprenditori si incentra su questo, per capire su quali linee guida si possa continuare a crescere ed essere protagonisti, fare impresa e creare sviluppo”, aggiunge Della Bella. Lo dice al termine del suo secondo e ultimo mandato come presidente di un’associazione nata 60 anni fa e che oggi rappresenta, sostiene e tutela circa 800 piccole imprese scaligere: tra i comparti principali il 44% appartiene al settore meccanico, il 12% lapideo, il 7% commerciale, il 6% alimentare, il 6% legno.
Alcuni temi restano al centro dell’attenzione, afferma chiarendo che “la pandemia ha imposto agli imprenditori di fermarsi e poi, nel ripartire, di ragionare sulle dinamiche da attuare nell’immediato futuro. Bisogna partire appunto dal risparmio energetico e dalla transizione ecologica, dall’innovazione ma anche dalla legalità. La richiesta di infrastrutture fisiche e digitali per favorire la competitività, gli investimenti per concretizzare una sostenibilità economica, sociale e intergenerazionale. Senza trascurare anche un costante aggiornamento degli imprenditori, perché possano accedere alle opportunità offerte dalla finanza. E la formazione delle giovani generazioni non solo per reperire la manodopera specializzata che resta carente, ma per trasferire una cultura d’impresa spendibile nel mondo del lavoro”.
Della Bella non fa sconti. La disponibilità di manodopera è un serio problema per le Pmi, anche se gli imprenditori sono pronti a formare personale proveniente dall’Italia o dall’estero, non necessariamente dalla UE. Ma i flussi migratori previsti non bastano, così come non funzionano nemmeno i centri per l’impiego. “La burocrazia però blocca gli arrivi da Paesi in cui l’Italia è vista come una meta di grande appeal, come il Sud Est asiatico. Questo mentre in Italia si fa ancora fatica a spostarsi da una regione all’altra”. Ostacolo burocrazia anche per l’energia: c’è la volontà di investire ad esempio nel fotovoltaico per rendersi autonomi e ridurre i costi di produzione, ma ci vogliono mesi per i permessi, un collo di bottiglia che rende impossibile dotare le aziende di pannelli solari capaci di ridurre almeno in parte la bolletta.
Le criticità non si contano, dall’innovazione (“speriamo in una proroga del beneficio del 40% negli investimenti di Industria 4.0, un supporto importante per affrontare la complessità sia della produzione che dell’organizzazione aziendale”) all’inflazione, dai tassi (che dopo anni al 2% sono saliti al 6-7%) alla riduzione degli ordini e della redditività. “Il governo deve fare scelte industriali e studiare misure che faboriscano l’accesso al credito”, ribadisce, “ma finora dopo alle dichiarazioni di principio siamo in attesa di segnali concreti. Una volta era sufficiente saper produrre, poi abbiamo imparato a vendere, ora tocca all’organizzazione: saper gestire l’azienda con nuove abilità e generare prospettive per il futuro. Abbiamo il compito di far percepire agli associati che la finanza è centrale per lo sviluppo. Non si parla più del passaggio generazionale come dell’inserimento dei giovani al posto dei fondatori, ma di livello di competenza manageriale utile per gestire le complessità, fare aggregazioni, creare filiere”.