(Di Gianni Schicchi) La Quinta Sinfonia di Mahler è un capolavoro assoluto di tutta la letteratura musicale del Novecento e vero banco di prova per ogni orchestra, anche la più dotata di mezzi strumentali. La celebre pagina (vecchio “pallino” del sovrintendente Cecilia Gasdia) è servita come impegno di apertura della stagione sinfonica 2023 della Fondazione Arena al Teatro Filarmonico, sotto la direzione del tedesco Eckehard Stier.
Noi abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare la replica di sabato pomeriggio ottenendone una favorevolissima impressione, sia sul piano di un risultato puramente musicale che per la resa strumentale della compagine orchestrale della Fondazione. La Quinta è musica appassionata, selvaggia, ricca di pathos, briosa, solenne, delicata, piena di tutte le sensazioni dell’anima umana, eppure “solo” musica, che non inserisce nel suo sviluppo puramente musicale, un solo problema metafisico.
Il compositore vi si dedicò con passione ad aumentare in essa la sua capacità sinfonica e a creare un nuovo tipo di sinfonia. La accresciuta polifonia richiese un rinnovamento del suo stile di strumentazione tanto che l’opera entrò in una nuova fase di sviluppo. La Quinta rimane un capolavoro, ottenuto nel pieno della capacità creativa di Mahler e il progredire della sua polifonia ebbe bisogno di tutta la bravura nella strumentazione per realizzare il complesso tessuto delle varie voci, molto difficile da concordarsi con la complessità della forma.
È una pagina dalla sterminata lunghezza (oltre 70 minuti) che richiede uno sforzo di concentrazione superiore per non farne cadere, ora la tensione, ora la forza, ora l’intendere quella sana consapevolezza di sé che lascia trapelare l’autore, rivolta alla vita, fondamentalmente ottimista.
Il maestro di Dresda, Eckehard Stier, ha mostrato di conoscere minuziosamente tutta la complessità di questa vasta, complessa partitura e di trasmetterne non solo il significato più profondo, ma di essere in grado di ottenere anche la migliore esecuzione strumentale possibile. Un’operazione che gli è riuscita in pieno, coadiuvato da una prestazione della compagine orchestrale veramente all’altezza, dove hanno brillato soprattutto i fiati, con i corni intonatissimi in prima fila (la prima parte Paolo Amato è stato ripetutamente additato al pubblico dal direttore), ma dove anche tutti gli archi si sono segnalati nello splendido “Adagietto”. Un’orchestra fortemente rimpinguata da giovani innesti che ha mostrato anche di poter raggiungere ulteriori ottimi risultati quando alla sua guida arrivano provati musicisti. E Stier si è rivelato tale, ricevendo al termine ben sei chiamate da una foltissima platea (molte le presenze straniere) che non ha lesinato i più sostenuti dei consensi. La nuova stagione sinfonica della Fondazione Arena è partita così col piede giusto lasciando intendere di avere tutti gli adeguati mezzi strumentali per sostenere anche altri, ulteriori appuntamenti più impegnativi.