“Il rinvio, a data da destinarsi, del voto in Europa sul divieto alle auto a benzina e diesel dal 2035 è un primo segnale importante e netto contro l’ennesima eurofollia. Arrivi, però, a Bruxelles un messaggio chiaro: non ci svenderemo alla Cina”. Così Paolo Borchia, europarlamentare veronese della Lega, coordinatore in commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia.
“Il rinvio del provvedimento rappresenta sicuramente un importantissimo risultato ottenuto grazie all’attività diplomatica e all’intesa con altri Paesi europei – a partire dalla Germania – del ministro Matteo Salvini, ma c’è ancora molto da fare. Il gruppo Lega, tanto in Europa quanto a Roma, continuerà a lavorare affinché non venga svenduto il nostro mercato automobilistico – conclude Borchia – e vengano tutelati i posti di lavoro, con buona pace di certa sinistra, ‘ambientalista da salotto’, che vorrebbe un’Italia prona all’invasione di auto elettriche cinesi”.
Soddisfazione anche da parte di Giorgia Meloni che definisce il rinvio a data da destinarsi “un successo italiano”.
“La posizione del nostro governo è infatti chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale. La decisione del Coreper di tornare sulla questione a tempo debito va esattamente nella direzione di neutralità tecnologica da noi indicata. Giusto puntare a zero emissioni di Co2 nel minor tempo possibile, ma -precisa la nostra premier- deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile”.
Determinante la posizione italiana nell’opposizione allo stop dal 2035 alle auto a benzina e diesel. I rappresentanti e il governo hanno recepito, oltre al disappunto dei cittadini, le preoccupazioni di tutto il settore automobilistico che verrebbe messo in ginocchio se la decisione della Commissione dovesse diventare esecutiva. I danni diretti e indiretti, perché colpirebbero anche tutte quelle industrie che producono la componentistica sarebbero enormi. Verrebbero persi in sette anni 67 mila posti di lavoro. Senza considerare un aumento della dipendenza dalla Cina che produce tre quarti delle batterie vendute in tutto il mondo.