(Di Gianni Schicchi) Vincenz Lachner ha saputo ridurre quella stupenda partitura che è il Terzo Concerto in do minore di Beethoven, per soli archi, senza togliere quali nulla della concezione sinfonica che l’autore voleva imprimervi. Il brano ha così consentito ai Virtuosi Italiani di inserirlo nel loro 24° anno di attività e di proporlo nel terzo appuntamento stagionale, con un promettente giovane solista, il coreano Jae Hong Park dalla procace bravura, già Premio Busoni 2021.
La versione di Lachner considera come punto di partenza il Concerto in do minore K 491 di Mozart per cogliere la strada fatta da Beethoven. L’Allegro con brio iniziale che si apre nel suo tema rettilineo, basato sull’accordo di do minore, senza lasciare quelle possibilità divagatorie che sono l’incanto dei concerti mozartiani. È qui che Hong Park ha mostrato subito di quale portata sia il suo pianismo e di che strepitosa tecnica sia in possesso. Tutto viene sfruttato nel lavoro tematico, anche i materiali più grezzi, come le due note cadenzanti (sol-do), sol-do) che concludono il primo tema. Ambito svolto con la forza travolgente di un maglio, ma elegante nell’eloquio e superlativa nel tocco.
Il secondo tema ha un andamento cantabile, Hong Park lo affronta con note lentissime, senza rinunciare all’ampiezza messa in gioco dalle prime note del Concerto negli sviluppi. Lo scontro di solista e orchestra accumula piano piano tensione, risolta in maniera mirabile alla fine del movimento con la combinazione timbrica in pianissimo del pianoforte. Il Largo si apre su orizzonti già schiettamente romantici: la tonalità scelta è il lontano mi maggiore, Hong Park procede senza apparente unità metrica, come improvvisando. Rispetto all’originalità dei primi due movimenti, il Rondò finale sembra poi rientrare in binari più consueti, ma sono notevoli le improvvise modulazioni, col suo episodio fugato centrale ed il ritmo cangiante delle ultime pagine.
L’interpretazione di Hong Park ha un piglio quasi sbarazzino, diretto, solare che conferisce al concerto una veste insolita. Si avvertono infatti una leggerezza ed una scorrevolezza lontane dalla monumentalità in cui il Terzo Concerto viene quasi sempre calato e ancora più dalla sublime e neoclassica levigatezza dei grandi interpreti del passato. La leggerezza delle scalettine, la scioltezza dei trilli, nel primo e terzo movimento, arrivano alle orecchie come una ventata di aria nuova in un approccio in cui tutto è curato alla perfezione, ma dove tutto arriva naturale per chi ascolta, in particolare i temi cantabili. È interessante come Hong Park lasci respirare il tema principale del Largo, sostenuto dalle ondeggianti terzine, con una mano sinistra formidabile, mentre l’orchestra lo accompagna con discrezione ed eleganza, ma anche con calore. Acclamazioni rumorose e calorosissime per il solista al termine (presenti un nutrito gruppo di giovanissime al seguito) con concessione di due bis.
La serata è stata completata dai Virtuosi Italiani che poco prima si era messa in luce con la Sinfonia n° 1 di Boccherini e la Serenata n° 6 di Mozart, dal timbro trasparente ed agile nei tempi, ma anche con qualche sorpresa per un impasto morbido e molto ben legato degli archi.