Non c’è niente da fare. E per dirla nella nostra bella lingua veneta, “non se pol aver ovo, galina e cul caldo!” La sanità per funzionare ha bisogno di soldi. Il progresso della tecnologia e il costo degli strumenti diagnostici e terapeutici sempre più sofisticati ed efficaci, ma anche più costosi richiede risorse sempre maggiori. Allora bisogna fare una scelta. O si aumenta il rapporto spesa sanitaria/Pil, destinando più soldi alla salute e tagliando da altre parti, oppure bisogna rassegnarsi ad adeguare il Ssn alla nuova situazione.
Questo semplice ragionamento è alla portata di tutti. Chi è nella stanza dei bottoni dovrebbe averlo già fatto. E forse l’ha fatto. Solo che nessuno ha il coraggio di metterlo in pratica per paura di perdere il consenso. Rischio contenuto in entrambe le opzioni: sia nel tagliare i finanziamenti di altri ministeri, sia nel mettere la franchigia.
Nel primo caso bisognerebbe andare a tagliare le risorse alla Difesa, o ai Lavori Pubblici, o all’Istruzione o agli Interni e così via. Ma già i margini sono stretti per tutti, se poi si andassero a ridurre le risorse ci sarebbero le inevitabili ripercussioni in termini di peggioramento dei servizi, di malcontento del settore, di posti di lavoro. Risulterebbe quindi difficile per il governo, se non impossibile, percorrere questa prima strada.
Rimane quindi la seconda, quella di introdurre una franchigia al di sopra di un certo reddito che renda a pagamento i farmaci e le prestazioni più comuni e meno costose, garantendo la gratuità di quelle importanti.
Il primo problema è di carattere ideologico. Questa soluzione sarebbe subito accusata di andare a toccare il principio universalista sul quale si basa il nostro sistema sanitario. Un principio sacrosanto, perché stabilisce che tutti hanno il diritto di essere curati gratis per il semplice fatto di esistere. Un principio di alto valore sociale ed etico che qualifica il livello di civiltà del paese che lo applica. E che non si deve toccare.
La franchigia però non intacca il principio. Lo rispetta. E’ solo un espediente tecnico e temporale per finanziare il sistema, per farlo funzionare senza avere ripercussioni sul servizio ed anzi migliorarlo. Nel momento in cui non fosse più necessario perché, poniamo il caso, si scopre che il sottosuolo italiano è pieno d’oro o di petrolio, verrebbe eliminata in quattro e quattr’otto. Se così non fosse, allora il principio lo avrebbero intaccato anche i vari ticket applicati finora.
L’ universalismo semmai viene intaccato nei fatti, ogni giorno, quando un malato per avere una diagnosi o una cura tempestiva deve rivolgersi al privato a causa della lunghezza delle liste d’attesa.
E’ quindi sgombrato subito il campo dalla prima e più pesante possibile obiezione alla nostra proposta.
Il secondo problema è come applicare la franchigia. E qui è solo questione di conti. Bisogna calcolare di quanto è necessario aumentare il rapporto spesa sanitaria/Pil per far funzionare bene il servizio. In base a questo si stabilisce la cifra che serve in più al sistema e sulla base dei dati statistici in possesso del Ministero della Salute e delle Regioni, si individuano le aree d’intervento, che sono essenzialmente due: farmaci e prestazioni. Si calcola, partendo dal basso, cioè dai farmaci e dalle prestazioni meno costose, fino a che quota di franchigia bisogna salire per reperire le risorse necessarie. Contestualmente si stabilisce quali fasce di reddito devono essere esentate dalla franchigia per evidenti ragioni sociali. Ed il gioco è fatto.
Contestualmente va studiata un’apertura al sistema delle assicurazioni, con le quali il governo può aprire una trattativa per andare a coprire coloro che saranno soggetti a franchigia.
Queste delle semplici considerazioni affinché in nostro servizio sanitario non imploda. Nulla però potrà esser fatto se non si abbandona l’ipocrisia di chi ulula al vento che il sistema sta favorendo il privato e non fa niente per risolvere il problema dei problemi che è la scarsità di risorse. Al contrario è proprio questo atteggiamento che condanna il nostro Ssn al fallimento e che già adesso costringe tanti cittadino a rivolgersi al privato.
Se invece si affronta il problema con un sano realismo e senza atteggiamenti preconcetti si potrà salvare il principio universalista e allo stesso tempo erogare un servizio sanitario di alto livello.