(Attilio Zorzi-Michael Benini) Il settore agroalimentare italiano soffre le normative europee. Sembra quasi che Bruxelles sia sinonimo solo di guai e problemi per le nostre aziende.

Dopo il temporaneo accantonamento del Nutriscore, l’etichettatura a semaforo degli alimenti, i burocrati europei hanno deciso di proporre una nuova normativa stringente: l’Ecoscore.

Nutriscore ed Ecoscore hanno però un denominatore comune, che ci fa ben capire come girano le cose nell’Unione Europea: non a caso entrambe nascono in Francia, nostro competitor in ambito agroalimentare.

L’Ecoscore qualifica i cibi in rapporto al loro impatto ambientale. Fatalità la polvere di grilli o le bibite energetiche hanno disco verde, mentre carne, insaccati, vini  o formaggi hanno disco rosso. Velatamente, o forse anche no, si tratta dell’ennesimo attacco all’agroalimentare italiano, che non potendo essere raggiunto dai competitors stranieri per qualità e tradizione, viene contrastato ex lege.

I primi a protestare contro l’Ecoscore sono i produttori di biologico, gli stessi che il Farm to fork invecevorrebbe incentivare, che ritengono serva soltanto a dare una patente verde ai prodotti delle multinazionali, a discapito dei prodotti realmente naturali. 

E’ evidente che a Bruxelles, nelle stanze dei bottoni, si dimenticano che la sostenibilità non è solo un mero fatto ambientale, bensì anche economico e sociale, e limitarsi a trattarla come pura teoria astratta, arrecherà un grosso danno all’intero ruolo dell’Europa nello scacchiere politico ed economico mondiale.

Inutile dire che invece, i primi sostenitori dell’ulteriore semaforo sono, come per il Nutriscore, i colossi della distribuzione e le multinazionali alimentari.

L’Italia che, con appena lo 0,4% di superficie agricola coltivabile mondiale, spesso dislocata su terrazzamenti o pendii, dall’agroalimentare genera oltre 570 miliardi di euro, che valgono circa il 25% del PIL nazionale, deve valorizzare in tutti i modi le sue tipicità e peculiarità, allontanandosi dalle ideologie ambientaliste, che in vista di aumento spropositato della popolazione mondiale non avranno nulla di etico e sostenibile. 

Oltre ai rincari energetici e agli aumenti delle materie prime, gli agricoltori italiani devono fare i conti con i cambiamenti climatici e la siccità, che già a marzo, allarma la produzione agricola 2023.

Qui a Verona tocchiamo con mano queste difficoltà, dato che la nostra provincia è sede di importanti realtà agroalimentari e soprattutto è centro nevralgico del settore vinicolo, che in Italia vale oltre 11,6 miliardi di euro, di cui 7,3 miliardi di export.

Proprio il settore viticolo sarà sicuramente uno fra i più sensibili al surriscaldamento globale, mettendo in pericolo la produzione di vini con acidità e colore importanti proprio a causa di un blocco della fisiologia della pianta che squilibrerà le varie maturazioni. 

E proprio a riguardo, venerdì 24 marzo alle 17.30 a Cazzano di Tramigna, si terrà un incontro con Enrico Casarotti, enologo, imprenditore agricolo e presidente di Aveprobi  dal titolo: “Il futuro della viticoltura parte dal suolo”

Le parole chiave saranno: identità, radice e suolo, poiché la vera sostenibilità è quella portata avanti da chi con impegno, cura e passione, lavora i campi per ottenere quei prodotti, che rendono famose le nostre vallate e la nostra città in tutto il mondo.