(di Bulldog) Giorgia Meloni vola oggi a Londra per incontrare il premier inglese Rishi Sunak e i banchieri della City. Sul piatto un trattato economico che dovrebbe garantire a Italia e Regno Unito la cornice formale a quelle relazioni sempre più strette certificate dalla scelta strategica italiana di partnership industriale e militare con Londra (e Tokyo) e non con Parigi e Berlino. Ma sul piatto ci sono 729 miliardi di debito pubblico italiano che ogni anno vengono trattati dal sistema finanziario internazionale: una quota enorme – che ogni sette anni viene totalmente rinnovata – che però è in calo progressivo da diversi mesi e che, al di là della fregnacce ideologiche, Roma ha tutto l’interesse a non veder scemare vieppiù. Meloni ha il difficile compito – lei che ha lasciato da ministro col debito pubblico al 116% e l’ha ritrovato da premier pericolosamente vicino a quota 150% sul PIL – di garantire che sebbene il nostro debito supererà i 3mila miliardi di euro alla fine del prossimo anno, il sistema è ancora in grado di reggere l’alto costo degli interessi e che il default – eventualità tecnicamente sempre sul tavolo – in realtà è impossibile perché comunque il risparmio italiano è praticamente il doppio del debito nazionale e dormienti in banca ci sono 1.385 miliardi cash che possono essere dirottati in BTP alla bisogna. Di conseguenza, la City (per meglio dire, le società di rating) può evitare un ulteriore declassamento del nostro debito…
Certo, le famiglie italiane non sono più il BOT people di vent’anni fa – assieme ai fondi di investimento detengono oggi meno di 300 miliardi del debito pubblico – ma, come dimostrano le ultime emissioni, restano pronte a comprare titoli dello Stato se ben remunerati. E qui sta l’inghippo: la Repubblica paga buoni interessi sul suo debito che cresce perché si ostina a non mettere mano agli oltre 125 miliardi di spese fiscali (ovvero sconti sulle tasse di privati e imprese per 740 agevolazioni diverse che non si riesce a tagliare) che ogni anno vengono regalati ai contribuenti. Che con quello che risparmiano in tasse comprano debito pubblico. La viziosità di questo circolo è evidente.
Dunque, ben venga Bruxelles che impone, col nuovo patto di stabilità, a Roma di rientrare dal debito pubblico di uno 0,45% del PIL l’anno per un lasso di tempo congruo (sette anni) a riportare il debito in una posizione di salvaguardia. Ora, tanti urleranno contro il cinismo e la cattiveria dei banchieri, ma il medico pietoso fa la piaga purulenta. Si può tagliare il debito di tutti cancellando i benefici di qualcuno. Non bisogna tagliare tutte le agevolazioni, basta saper scegliere e non cedere alle lobby.
Giorgia Meloni – forte di una maggioranza che si traguarda a cinque anni – potrebbe fare questo e potrebbe trasmettere questo messaggio alla City: “il debito pubblico intendo affrontarlo e non lasciarlo senza correttivi al mio successore come fatto da tutti i premier (compresi i tanto osannati salvatori della Patria Monti e Draghi) che mi hanno preceduta”.
In fondo è questo che si attendono i vecchi conservatori dai nuovi conservatori: saper gestire le finanze pubbliche tagliando gli sprechi e puntando agli investimenti strategici. Meloni e Sunak sono le nuove leve di questo pensiero politico e insieme possono cambiare molto degli equilibri europei. Ma il nostro premier deve affrontare il mostro del debito e deve spiegarlo agli Italiani cui non si chiede di tirare la cinghia, ma soltanto di non inguaiare ulteriormente i propri figli.
Altro che 25 aprile: è il debito il terreno fatale di Giorgia Meloni…