Francesca Frezza non ci sta all’archiviazione del procedimento giudiziario per la morte di suo figlia Nina avvenuta il 18 novembre 2019 a causa del citrobacter. E come aveva annunciato, assistita dall’avvocato Matteo Frezza, che è anche suo fratello, ha presentato al Tribunale di Verona un ricorso contro la decisione della Procura.
Decisone fondata sulla divisione dell’infezione che ha colpito l’Ospedale della Donna e del Bambino di Verona in tre fasi. Solo per l’ultima fase, nella quale una bambina è morta ed un’altra ha riportato gravi danni permanenti, il Procuratore ha deciso di procedere a carico di sette, fra medici e dirigenti dell’Ospedale, per omicidio colposo e lesioni gravissime. In quella fase morì Alice e Benedetta riportò danni gravissimi e permanenti. Per tutti gli altri casi avvenuti nelle due fasi precedenti è stata decisa l’archiviazione. Tra questi, quello della morte della figlia di Francesca Frezza, Nina, di Elisabeth, che fu il primo decesso nel novembre del 2018, di Leonardo e di altri cinque neonati contagiati che riportarono danni irreversibili: Barbara, Davide, Fares, Jacopo e Maria.
L’infezione avvenne fra il 2018 e il 2020, colpì centinaia di neonati. Le indagini appurarono che il citrobacter s’era annidato in un rubinetto dell’acqua corrente del reparto di Terapia intensiva neonatale.
Il ricorso di una trentina di pagine sostiene che se la dirigenza dell’Ospedale fosse intervenuta nel 2018, subito dopo il primo caso di decesso per infezione, si sarebbero potuti salvare gli altri neonati. Bastava «attuare le dovute contromisure, compresa quella di chiudere immediatamente le Terapie intensive del punto nascite di Borgo Trento, dopo la prima infezione fatale, quella costata la vita alla piccola Elisabeth a fine 2018».
Nell’ambiente ospedaliero s’era parlato subito dopo del Citrobacter. E anche dopo i casi successivi circolava una certa preoccupazione. Ma non venne preso alcun provvedimento. L’Ospedale della Donna e del Bambino, il più grande punto nascite del Veneto, venne chiuso solo il 12 giugno del 2020. E solo dopo questa data venne sanificato.
Non si capisce quindi, è la ratio del ricorso di Francesca Frezza, con quale criterio la Procura abbia ravvisato responsabilità solo per l’ultimo periodo, tra il 22 febbraio e il 30 maggio 2020, mentre è evidente che le omissioni sono avvenute fin dal 2018.