(bg) I casi sono due: o il progetto idrogeno verde alla Sun Oil è una supercazzola – al pari di azzerare la Tari, abbattere le tasse locali e ridurre del 20% il costo dell’energia elettrica ai sonesi – oppure Carlo Antonio Mazzola, candidato sindaco per la lista civica di Gualtiero Mazzi (già sindaco per la Lega) è sceso in pista proprio per questo: agevolare un importante investimento privato che, in effetti, azzererebbe una bomba ecologica presente da decine d’anni e che, nonostante l’enorme lavoro fatto dalle amministrazioni di Sona, è pronta ad esplodere inquinando una delle falde d’acque più importanti del territorio. Un caso Pfas-due insomma con drammatici effetti sulla salute dei veronesi.
Il candidato Mazzola non fa molto per risolvere questo dubbio: nomi non ne fa; un progetto vero con numeri e non soltanto un’immagine presa da internet non viene mostrato; c’è soltanto un evento elettorale, con un centinaio di persone all’interno della Sun Oil (questo però è un successo in sé; per entrare nei mesi scorsi ed iniziare una parziale verifica pre-bonifica il sindaco di Sona ha dovuto presentarsi coi Carabinieri ed un ordine del magistrato…). Mazzola però qualche cosa la dice.
Primo. Le venti cisterne contengono ancora 21mila tonnellate di olii esausti e la manutenzione del sito non viene fatta da anni per evidenti problemi di budget.
Secondo. Ci sono stati due gruppi interessati all’area (valore immobiliare 5 milioni€, più 14 milioni per svuotare e smaltire gli olii; più – non si sa – quanto servirà per bonificare il terreno sotto le cisterne) ma soltanto uno è andato avanti nella trattativa ed è «arrivato a sottoscrivere un accordo una settimana fa per acquisire l’area» parola di Mazzola.
Terzo. La bonifica partirà -sempre secondo il candidato Mazzola – prima di Natale e poi inizieranno i lavori che potrebbero creare 80 nuovi posti di lavoro.
Quarto. Per fare cosa? Mazzola parla di “idrogeno verde” ovvero quello realizzato attraverso elettrolisi (viene fatta passare corrente elettrica nell’acqua separando l’idrogeno dall’ossigeno ma l’energia elettrica necessaria viene prodotta da impianti fotovoltaici, senza emissioni di CO2), l’idrogeno così ottenuto viene stoccato per essere utilizzato nell’industria al posto dei combustibili fossili o nell’autotrasporto pesante. Al momento l’idrogeno verde rappresenta soltanto il 4% della produzione globale di idrogeno, ma è al centro di una strategia nazionale per contribuire alla decarbonizzazione dell’economia al fine di raggiungere gli obiettivi climatici europei.
Ci sono fondi europei IPCEI (acronimo che significa importanti progetti di comune interesse europeo), ma il 23 febbraio è scaduto il bando del MISE e poi ci sono i fondi del PNRR. Quindi, se mai andasse in porto il progetto una parte dei costi della bonifica sarebbe comunque ancora a carico del debito pubblico.
L’Italia mette sul piatto 10 miliardi da qui al 2030, metà dei quali versati dall’Europa e dai privati. Il piano del governo afferma anche che entro il 2030, l’idrogeno potrebbe costituire il 2% della domanda finale di energia dell’Italia e potrebbe contribuire a eliminare fino a 8 milioni di tonnellate di CO2, con una copertura del 20% della domanda di energia possibile entro il 2050 con più di 200.000 posti di lavoro creati e 27 miliardi di euro di crescita per il prodotto interno lordo italiano, con l’idrogeno da utilizzare nei trasporti, nell’industria pesante e nei gasdotti di gas naturale. L’Italia vuole diventare un hub di energia pulita per l’Europa, importando idrogeno prodotto in Nord Africa da energia solare ad un costo inferiore del 10-15% rispetto a quello prodotto in Europa dato che al momento l’idrogeno verde costa di più rispetto a quello ottenuto in maniera “fossile”.
Ma chi potrebbe essere l’operatore interessato a risolvere questo bubbone politico e bomba ecologica? Mazzola, come detto, non fa nomi. Lui però di mestiere è consulente per gruppi industriali con due uffici a Verona e Milano. Di certo, non potrebbe essere una PMI, ma una realtà di impatto industriale vero.
Ed a Verona, guarda caso, una realtà di questa natura c’è: il Gruppo En.It della famiglia D’Amato che, in questi mesi, sta realizzando la “hydrogen green valley” della Puglia assieme al gruppo Alboran della famiglia Pratesi di Firenze e con partner altri due colossi mondiali: Saipem ed Edison. La green valley pugliese vede la realizzazione di tre impianti di elettrolisi (altri due verranno fatti in Albania e Marocco) da 220 MW complessivi alimentati da un parco fotovoltaico da 400 MW di energia solare che produrranno 300 milioni di normal metri cubi di idrogeno che sostituirà i combustibili fossili nell’industria pesante di Taranto e Brindisi. Un mega-progetto che vede il coinvolgimento ella Regione Puglia e del Governo nazionale per un valore del programma stimato in 500 milioni€.
Fosse questo il gruppo – una realtà d’eccellenza, solida con 30 anni di esperienza nelle rinnovabili, presente in 22 paesi, con 3,4 GW prodotti da idrogeno – le cifre della Sun Oil sarebbero un ostacolo risolvibile. Ma se così fosse, perché non dirlo? E, poi, questa ipotesi resterà sul tavolo il 15 maggio, la sera della conta dei voti? Il confine fra megaprogetto e supercazzola, insomma, non viene ancora delineato con chiarezza. Peccato.