(Di Gianni Schicchi) Ancora giovani interpreti per il palcoscenico del Filarmonico. Il nono concerto della Fondazione Arena ha visto infatti all’opera la nota pianista sanbenedettese Costanza Principe e il direttore bielorusso Vitali Alekseenok, recente vincitore del Concorso internazionale di direzione d’orchestra Arturo Toscanini di Parma. Nel programma da loro sostenuto: il Quarto Concerto in sol minore di Rachmaninov e la Sesta Sinfonia in si minore di Shostakovic.

Il quarto e ultimo concerto di Rachmaninov era un bell’ostacolo da affrontare, non fosse altro per il pathos acceso del suo linguaggio, per la dovizia di gesti ampi e a volte pletorici del suo denso sinfonismo, oltre che per alcune reminiscenze liriche in cui si riversa inevitabilmente qualcosa della terra russa. Rachmaninov vi apportò diverse modifiche che contribuirono ben poco a soddisfare i critici e fu soltanto nel 1941 che l’opera acquistò la sua forma definitiva, dopo ulteriori tagli e modifiche nell’orchestrazione. Nonostante tutte queste vicissitudini, tuttavia il concerto ha mantenuto la sua fondamentale grandiosità e il suo vigore, l‘acutezza armonica e un gioco reciproco pieno di inventiva fra la parte pianistica e la struttura orchestrale: un’opera permeata da cima a fondo dalla nostalgia tipica di Rachmaninov, ma nella quale le sue idee vengono presentate con tutta la vitalità e l’impeto che caratterizzano la musica dei suoi anni maturi.

Costanza Principe, per la seconda volta a Verona, mostra di avere una notevole dimestichezza con la composizione, sia per quanto concerne la tecnica e il virtuosismo, mai fini a se stessi, quanto per l’espressività. Elevati la limpidezza del suono, la precisione tecnico-virtuosistica e la commossa sensibilità. Appropriato lo stile interpretativo e apprezzabile inoltre la delicatezza e la morbidezza del tocco, che conducono a una rimarchevole espressione. Suona insomma con gusto, abbandono e sensuale lirismo, come lodevole è pure la finezza timbrica del suo pianoforte.

Vitali Alekseenok è un direttore istintivo. Si sente che la scuola di formazione è quella russa per l’energia impressa a partiture della sua terra, ma anche per una chiara visione d’assieme. Ha frequentato pure la scuola tedesca, specialmente l’importante Hochschule für Musik di Weimar, che gli ha consentito di poter avanzare di grado e di maturare professionalmente come direttore d’orchestra e prima come assistente, lavorando in teatri d’opera importanti: la Bavarian State Opera, il Gran Teatre del Liceu, il Theater an der Wien, l’Opera di Graz, il Teatro Nazionale di Weimar, l’Opera Nazionale di Kiev e Odessa, l’Orchestra di Radio Lipsia

Non casualmente è stato anche in Italia, al Rossini Opera Festival, al Comunale di Bologna e al Bellini di Catania. L’anno scorso ha diretto la première mondiale dell’opera Il Piccolo Principe di Pierangelo Valtinoni al Teatro alla Scala. Dal 2022 Alekseenok è Kapellmeister alla Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf e pure direttore artistico, da due anni, del Kharkiv Music Festival. Insomma ha avviato la carriera con un certo prestigio, segno che la sua preparazione è accurata e ben strutturata. 

In Shostakovic riesce a fare avvertire il malessere del compositore celato dietro il trionfalismo liberatorio, in una sinfonia molto differente dai modi e dai contenuti della precedente Quinta, caratterizzata da momenti di tragedia e di tensione, insistendo invece sul nuovo carattere dell’opera, contemplativo e lirico. Gran bella interpretazione la sua anche per la maiuscola resa dell’orchestra areniana che perviene ad una splendida restituzione tecnica della difficile partitura, con un ventaglio dinamico e una densità di spessore degni di una compagine di alto rango. Direttore e orchestra (ha additato al pubblico molte prime parti, e non solo, della compagine) salutati alla fine dai vistosi consensi della platea.