(Paolo Danieli) Sono passati quarantacinque anni dalla promulgazione della legge ‘Basaglia’ sull’assistenza psichiatrica, del 13 maggio 1978, n. 180, recepita poi nella legge 23 dicembre 1978, n. 833. Una legge rivoluzionaria che s’impose fra mille polemiche, ma che è stata una grande passo avanti nella cura delle malattie mentali. Oggi però la società è cambiata. Ed anche la psichiatria, che in mezzo secolo ha fatto molti progressi. La legge Basaglia va quindi adeguata ai tempi mutati. Può essere interessante a questo proposito leggere la relazione del disegno di legge sull’assistenza psichiatrica da me presentato in Senato vent’anni fa per riformare l’assistenza psichiatrica. E’ stato il frutto di un lavoro d’equipe svolto con medici, psichiatri e anche con i familiari dei malati che oggi vengono compresi nella categoria dei caregiver. Già allora si rilevava la necessità di un adeguamento. Ma poco o nulla è stato fatto e i problemi rimangono e ricadono sulle famiglie e sulla società tutta.
“Le esperienze di questo quarto di secolo, sommate ai progressi della psichiatria sia nel campo terapeutico che assistenziale e riabilitativo, chiedono perentoriamente una revisione della normativa che disciplina l’erogazione di questo tipo di assistenza. In particolare risultano urgenti ed importanti:
1. una migliore regolamentazione dei ricoveri in forma coatta nell’ambito dei quali dovrebbero essere previsti sia ricoveri vincolati all’emergenza clinica di tipo breve, sia ricoveri di tipo protratto connessi soprattutto all’esigenza di poter disporre dei tempi necessari per un costruttivo impegno in ambito terapeutico-riabilitativo;
2. un approccio più vicino al modello medico, con il recupero dei concetti di prevenzione, cura e riabilitazione in base alle nuove risorse della moderna assistenza e con i suggerimenti provenienti dal progresso della medicina;
3. una presa di coscienza sul fatto che la miglior assistenza può essere erogata con maggior rispetto delle esigenze, delle risorse e delle competenze regionali, adeguandosi alle modifiche della Costituzione.
Occorre inoltre colmare alcune lacune e prendere in considerazione alcuni aspetti che, non previsti o non ben tutelati dalla citata legge n. 180 del 1978, hanno caratterizzato questi ultimi anni di attività di chi lavora, ai vari livelli, in ambito psichiatrico, con frequente insorgenza di difficoltà operative e di problemi gestionali. Occorre, in altre parole:
1): un’attenzione particolare per le categorie di utenti caratterizzati da fragilità sociale in senso sanitario;
2): la presa d’atto della necessità per lo psichiatra di farsi carico di nuovi o dismessi campi di attività che, comunque, continuano ad appesantire la quotidianità dell’assistenza (in primis la psichiatria delle disabilità e l’etnopsichiatria ma, anche, la psichiatria implicata con la doppia diagnosi e le dipendenze patologiche correlate);
3): il recepimento di prassi ormai consolidate da tempo in termini di esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO);
4): un bilanciato coinvolgimento del giudice tutelare e del sindaco nei casi di prolungamento della restrizione della libertà individuale;
5): la necessità di tenere presente quanto, su un piano etico, sia giusto riconoscere al paziente psichiatrico in termini di dignità ed autodeterminazione che devono essere salvaguardate anche in relazione alla patologia presentata. In questa ottica, dovendosi conciliare le esigenze dell’individuo con quelle dell’attività clinica, molto attuale risulta una proposizione di collaborazione medico-paziente, rispettosa dei diritti di quest’ultimo, ma duttile alle esigenze terapeutiche. Si tratta del contratto terapeutico vincolante per il proseguimento delle cure che ben si configura con la denominazione di «contratto di Ulisse»: esso vincola il paziente, originariamente d’accordo, a farsi seguire anche a prescindere da una volontà contraria, manifestata in una successiva fase della malattia. Il contratto terapeutico vincolante può essere compreso alla luce delle seguenti considerazioni:
– il consenso informato esprime il superamento della concezione paternalistica che in passato tradizionalmente (in base al principio di «beneficialità») ha caratterizzato il rapporto medico-paziente: al medico era totalmente delegata la potestà di cura e di scelta terapeutica;
– il principio di autodeterminazione riconosce il primato della persona sugli interessi della scienza e della società, nonchè il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di uguaglianza, autonomia e libertà dell’individuo quali espressioni di valori e principi universali ed inalienabili [si vedano il Codice di Norimberga, 1946; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948; la Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina (adottata a Strasburgo il 19 novembre 1996; firmata dal Governo italiano ad Oviedo il 4 aprile 1997) che promuove la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali di ogni essere umano e, in particolare, della sua integrità psicofisica, nonchè sancisce il principio dell’autonomia del soggetto interessato, quale espressione del diritto alla libertà e alla dignità della persona (articoli 1 e 5) e, in particolare, l’articolo 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo];
– il ribaltamento della precedente concezione giuridica che posponeva la persona umana ai superiori interessi dello Stato;
– il riconoscimento del primato e della supremazia dell’uomo assunto a valore etico in sé;
– il riconoscimento dell’uomo come fine diqualsivoglia azione di disciplina e di governo;
– il principio dell’inviolabilità della libertà personale è espresso solennemente dall’articolo 13 della Costituzione (intesa quale tutela del singolo dall’arbitrio dei pubblici poteri, sino a ricomprendere la libertà morale e la dignità della persona);
– la previsione della riserva di legge, operata dall’articolo 32 della Costituzione, per l’applicazione del TSO, rappresenta parziale deroga e, nel contempo, esplicita conferma del riconoscimento del diritto di autodeterminazione personale che si esprime quale possibilità di disposizione (nel rispetto dei limiti legislativamente previsti) in via esclusiva della propria integrità non soltanto fisica, ma, in senso più ampio, anche psichica e morale, in vista del libero sviluppo della persona;
– la centralità riconosciuta al principio di autodeterminazione (affermato ormai costantemente in giurisprudenza ed autorevolmente riconosciuto dal Comitato nazionale di bioetica), la cui cogenza giuridica è oggi rimarcata dall’acquisizione in Italia della Convenzione di Strasburgo, comporta una forte focalizzazione sulla indilazionabilità di un riconoscimento non solo bioetico, ma anche giuridico, delle «direttive anticipate» e di tutte quelle dichiarazioni ufficiali che esprimono apertamente ed in maniera non equivoca la volontà del soggetto. In mancanza di questo totale riconoscimento, si determinerebbe una limitazione del principio di autodeterminazione: il vincolarsi da soli, con precise disposizioni da far valere nei periodi critici, si è posto non solo per le patologie croniche irreversibili di carattere somatico, ma anche per alcune forme di disturbi psichici cronici con carattere remittente recidivante. Con tale strumento, definito dalla letteratura scientifica americana «contratto di Ulisse», sarebbe possibile gestire consapevolmente comportamenti patologici stabilendo disposizioni in merito alla propria ospedalizzazione o al trattamento con terapie specifiche da far valere anche per l’ipotesi che, nei periodi di crisi, si manifesti una volontà contraria;
6): la conseguente ipotesi di un algoritmo operativo così strutturato:
a) il paziente può essere accolto come volontario o come TSO;
b) nel caso della volontarietà, il paziente può essere dimesso senza problemi;
c) nel caso di ricovero con TSO, il paziente può:
1) essere dimesso per cessazione del TSO;
2) rimanere ricoverato come volontario, nonostante la cessazione del TSO;
3) essere rinnovato nel TSO;
4) essere trasformato in TSOP (trattamento sanitario obbligatorio prolungato) che, a sua volta, può essere rinnovato in trattamento volontario con o senza il vincolo del contratto di Ulisse;
7): l’ampliamento della presenza psichiatrica nell’ambito dei Dipartimenti di emergenza e accettazione (DEA) finalizzato sia ad affrontare nel modo più rapido e adeguato le emergenze psichiatriche sia alla possibilità di prendere in carico tempestivamente il paziente, evitando ricoveri magari impropri che causano sovraccariche operativi per i servizi di psichiatria;
8): l’offerta all’utenza di centri di ascolto ed orientamento specialistici che, in ambiti non psichiatrizzati, possano configurarsi come filtro delle varie esigenze sia dei possibili fruitori, direttamente interessati, sia dei loro familiari e degli eventuali care-giver, nel tentativo di evitare sviluppi di situazioni che possono raggiungere, altrimenti, anche momenti di drammaticità. L’attività di questi centri dovrebbe configurarsi non solo come consultazione per eventuali prese in carico ma anche come punto di riferimento per l’assistenza, l’informazione e la formazione di quanti si trovino a dover affrontare le problematiche del paziente psichiatrico;
9): un doveroso riconoscimento, in termini di spazi consultivi e collaborativi, ai rappresentanti delle varie associazioni dei familiari dei quali troppo a lungo sono state trascurate non solo la voce ma anche le esigenze e le necessità.” (Foto Diane Picchiottino)