(di Sebastiano Saglimbeni) Il 12 febbraio del 1966 moriva a Milano il siracusano Elio Vittorini, scrittore e saggista. Ad oltre cinquant’anni dalla sua scomparsa rivive con il suo denso pensiero scritto. Le Poste italiane l’hanno commemorato con un francobollo.
A Elio Vittorini ho dedicato alcuni scritti su giornali e riviste, pure un breve saggio dal titolo Il fiore e l’intenso/Il garofano di Elio Vittorini. Dal 1970 sino al 1992 ho fatto leggere nelle Scuole medie superiori Conversazione in Sicilia, Il Garofano rosso, Uomini e no, opere che hanno rifatto, per la lingua nuova ed armoniosa e per le istanze sociali, i miei studenti del Friuli, del Veneto e della Lombardia. Alcuni studenti di Milano, all’inizio degli anni Settanta, si erano procurata l’opera Diario in pubblico editata da Bompiani. Questa, di circa 590 pagine, è stata rieditata alcuni anni fa dallo stesso Bompiani con un’introduzione di Fabio Vitucci, che, nell’ incipit del suo discorso, riprende un tratto di quanto Elio Vittorini aveva dichiarato durante un’intervista il 10 agosto 1957 a cura di C. Mangini su Il punto.
Vittorini allora osservava, fra l’altro: “ … più che raccogliere il materiale saggistico in maniera antologica, ho preferito frantumarlo al massimo, prendendo da ogni mio articolo o saggio soltanto quei brani che ritenevo essenziali, e usandoli come tessere di mosaico, fino a raggiungere una nuova unità attraverso questa frantumazione. Il criterio essenziale che ho seguito mi ha portato a selezionare i temi, gli argomenti di agitazione culturale in Italia, in questi ultimi trenta anni, tenendo presente in questa scelta due punti fondamentali: che i passi mi soddisfino ancora oggi, che essi rivestano un interesse generale e non puramente autobiografico(…). Il libro sarà combinato dunque come un diario delle occasioni intellettuali, e si chiamerà, appunto, Diario in pubblico, proprio ad indicare la sua diversità dal diario intimo, privato, chiuso nel cassetto”.
Si riscopre in questa nuova edizione il pensiero di Vittorini rivolto ad autori del suo tempo e del passato, di rilievo e no; si riscopre il famoso impegno antifascista dello scrittore e saggista, la letteratura americana di Faulkner ed Eliot, l’impegno editoriale civile del dopoguerra. Il libro contempla quattro parti più le pagine dal titolo Appendice, Progettazione e letteratura e Appendice all’edizione Bompiani 1970. L’Indice dei nomi, completa l’opera ed è un’operazione che stimola ad andare dentro le pagine. Degli autori intesi da Elio Vittorini? Del poeta di Foglie d’erba (Leaves of Grass), Walt Whitman, scrive che fu “uomo eccentrico e di scarsa cultura, anzi di rozza cultura, egli fu grande in un modo speciale che non accresceva o precisava quello che i tre classici avevano stabilito, eppure ne allargava per i futuri sviluppi la portata. Poe, Hawthorne e lo stesso Melville avevano parlato tenendo presente un universo dagli angusti limiti sociali e, in apparenza, accettandolo; riconoscendo l’ordine esterno della civiltà, l’ordine esterno della sintassi, l’ordine esterno della prosodia. Whitman si mise contro a tutto questo e identificò l’universo col caos ”.
Un’analisi lapidaria e autentica sul bardo americano. Dello scrittore, autore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e de La cognizione del dolore, due capolavori del Novecento, scrive che “è uno scrittore satirico; satirico nel senso antico della parola, nel senso dello ‘scopri l’uomo, dalli al vile, fuori l’ipocrita’ che pareva assolutamente perduto dopo l’Ottocento. In Italia la satira è stata settentrionale e lombarda; passando l’ Appennino si è fatta burla, beffa in Toscana, con la perdita di tutto il suo stile precisamente morale; più giù si è trasformata in blague, e, da sottile, il suo corpo di fustigatrice dei costumi si è ingrossato, ingrassato come il tacchino di Rabelais”. Seguono puntini, indicativi del discorso riduttivo. Proseguendo, Vittorini di Gadda scrive che “nell’ autenticità della sua satira, è settentrionale e lombardo; e credo che ce ne fosse bisogno, finalmente, di un longobardo dalla caustica logica”. Lo aveva scritto il 21 giugno del 1931 su Il bargello. E qui le parole vittoriniane, nell’uso critico, sono aspre, giocose. Pure docilmente satiriche per uno scrittore giudicato satirico. Vittorini riprende in analisi la scrittura di Gadda 25 anni dopo, scrivendo che lo scrittore “conserva oggi tutta la sua importanza di allora anche a paragone di certe tendenze della nostra narrativa più giovane. Ѐ specie a P. P. Pasolini che alludo. Il quale (nel romanzo Ragazzi di vita) ottiene effetti analoghi a quelli del Gadda presentando travestiti da realistici interessi che direi essenzialmente filologici. Mentre il Gadda al contrario, presenta travestiti da filologici interessi che sono essenzialmente realistici. Nel Gadda agisce la preoccupazione di non lasciare vedere che lo muovono le cose. Nel Pasolini agisce invece quella di non lasciar vedere che lo muovono le parole”. Tralasciando qualche tratto, Vittorini precisa che “in Gadda l’effetto del travestimento è di pudore. In Pasolini è di esibizionismo, di vanteria, di smargiassata”. Ragazzi di vita era stato pubblicato nel 1955 da Garzanti ed era stato un traguardo raggiunto da Pasolini come scrittore, vivente a Roma in uno stato di disaggio economico. A Vittorini non era sfuggita questa firma del trentenne Pasolini.
Di un politico famoso? Nel Diario, Antonio Gramsci, il politico, il filosofo, il giornalista, che non ha mai voluto mutare le sue opinioni, per le quali sarebbe stato disposto a dare la sua vita e non solo a stare in galera, è descritto che venne “accusato una volta di ‘intellettualismo’ anche dai suoi compagni di lotta”. A Elio Vittorini, Gramsci appare “come uomo politico che poté essere più acutamente ‘politico ’ grazie appunto alla sua capacità di trovare per ogni questione i motivi culturali e non rinnegarli”. Come scrittore, Gramsci è “una preziosa eredità”, seppure “spesso buttata giù, come le lettere dal carcere che doveva scrivere a giorno e ora fissi, col tempo contato, sotto gli occhi assillanti dei secondini, a un tavolo comune”. E Vittorini chiude scrivendo che il pensiero gramsciano “è una eredità per la cultura italiana che finalmente sarà resa, presto, accessibile a tutti”. Così su Gramsci da Vittorini nel 1946.