( di Paolo Danieli) Come ha fatto Berlusconi nel 1994 a mettere in piedi un partito che ha vinto le elezioni in pochi mesi? Un miracolo? Quasi. C’è riuscito grazie a una delle sue intuizioni. Ha preso la rete della sua società, Publitalia, diffusa in tutto il paese e ha dato il compito a tutti i suoi capi-area di trasformarla in partito. Poi, nelle maglie della rete-impresa, ha incastrato sapientemente dei personaggi non di primo piano della Prima Repubblica – socialisti, democristiani, liberali- che vi hanno dato consistenza politica.
A Verona il compito era stato dato a Claudio Fiore, che lavorava in Publitalia. Fu lui a mettere in piedi il primo nucleo di Forza Italia da cui emerse Michela Sironi, eletta nel 1994, primo sindaco del centrodestra in Italia. Fu lui a tessere l’accordo politico con il Msi di Pasetto e Danieli e con il Ccd di Meocci.
Ma a Verona Forza Italia non nacque sotto una buona stella. Ben presto il bravo Claudio Fiore venne destituito brutalmente, dalla sera alla mattina, senza motivo. Autore della manovra un personaggio che subito si manifestò ingombrante e prepotente. Si trattava del capo-area veneto di Publitalia, un padovano, tale Giancarlo Galan, uomo di fiducia di Berlusconi cui aveva affidato il partito in Veneto per il suo fatturato. Un limite della creatura berlusconiana.
I veronesi vissero sempre lo strapotere di Galan come un’imposizione. Ben presto avvenne una spaccatura fra il gruppo che faceva capo alla Sironi e a Frau e quello dei ‘galaniani’ guidati da Zigiotto. Spaccatura che si palesò in tutta la sua virulenza in occasione delle comunali del 2002, quando di nuovo Galan arrivò a Verona come un elefante in una cristalleria e impose la candidatura a sindaco del suo amico Bolla. Che perse, perché non lo voleva nessuno. E la città per la prima volta cadde in mano alla sinistra.
Ma Berlusconi Galan non lo toccò. Il suo sistema era diventato troppo forte. Eppure qualcosa che non andava lo aveva annusato, perché, a fare da contraltare al corpulento ‘doge’, aveva inviato a Verona uno dei suoi uomini più fidati: Aldo Brancher. Che però non ebbe il tempo di costruire l’alternativa. Fu lo scandalo Mose a travolgere Galan. Intanto però il partito del cavaliere s’era avviato a grandi passi sul viale del tramonto assieme al suo leader.
A fare le spese della scelta del cavaliere di lasciare mano libera al suo prepotente proconsole padovano è stata soprattutto Verona, per quindici anni sottoposta alle interferenze ed agli interessi del triangolo Padova-Venezia-Treviso. Tutti buoni, tutti bravi dopo morti. Ma la verità, con tutta la stima e l’umana simpatia per il Cavaliere, la dobbiamo dire: in Veneto Berlusconi un errore l’ha fatto.