Quando al Maffei ha celebrato il 120° anniversario della fondazione dell’Hellas, Maurizio Setti l’aveva detto: «Ho festeggiato da presidente i 110 anni con la promozione in serie A. Spero di festeggiare i 120 con la salvezza!» C’è riuscito. Con tutte le difficoltà e i suoi limiti il proprietario dell’Hellas ce l’ha fatta. E questo è il primo dato di fatto.
L’altro è che il presidente non è amatissimo. Sarà per la sua faccia, per il suo carattere, perché l’anno scorso in un sol colpo ha venduto i tre gioielli della squadra lasciando l’Hellas senza attaccanti che segnano, ma Setti, per antipatico che possa essere, nei suoi undici anni alla presidenza del Verona l’ha tenuto in serie A per nove. E anche questo è un fatto.
Il terzo dato è che Setti non è di Verona. E’ di Carpi. E questo ai veronesi brucia un po’, perché evidenzia una realtà che non piace: all’imprenditoria veronese della squadra di calcio della città non gliene frega niente.
E giocano tutti e tre a suo favore.
Se poi non piace, se non ha le risorse necessarie per fare del Verona una grande squadra, allora bisogna porsi la domanda: c’è a Verona un imprenditore disposto a farsi carico dell’Hellas? Pare di no. Ce n’è sono stato qualcuno in passato. Ma si può dire che i grandi imprenditori veronesi, quelli che potrebbero prendere il mano la società senza neanche tanto sforzo, non sono disposti a farlo. O almeno non lo sono stati finora. Eppure di grandi industriali ce ne sono. Basti pensare al gruppo Veronesi-Aia, un gigante internazionale dell’agro-alimentare. Basti pensare al colosso Veronesi Calzedonia o a Rana, tanto per dire i più grandi. Ma ce ne sono anche altri. A loro il calcio non interessa. O non a tal punto da impegnarcisi.
Eppure non sarebbe nemmeno necessario essere appassionati di questo sport. Basterebbe solo avere la sensibilità di capire quanto importante potrebbe essere per la loro azienda una compenetrazione con la città, un processo di identificazione come quello avvenuto a suo tempo a Torino fra la Juventus e Agnelli o a Milano fra il Milan e Berlusconi. Il calcio non è solo un gioco. E’ un fenomeno sociale di dimensioni enormi e con una ricaduta d’immagine senza pari. E poi non è detto che con una gestione oculata ci si possa anche guadagnare, come ha fatto qualcuno. O andare in pari. Ma con un’immagine ed un rapporto con la città enormemente migliore.
Però da questo orecchio l’imprenditoria veronese sembra essere sorda.
Rimane allora l’azionariato popolare, nelle sue varie declinazioni. Ma quanti veronesi sono disposti a investire nella squadra? E quanto? Uno studio serio su questo andrebbe fatto. Ma continuare a dire che Setti se ne deve andare senza avere un’alternativa diventa un gioco al massacro.