Il terzo mandato. Tutte le volte che si è alla vigilia dell’elezione di un sindaco o di un presidente di regione, cariche per le quali la legge prevede il limite dei due mandati, eccezion fatta per i comuni sotto i 5mila abitanti, ecco spuntare puntuale l’ipotesi del ‘terzo mandato’. Se ne parla a mezza voce. Si fa balenare l’ipotesi di una leggina che, infilata di qua o di là alla chetichella, possa prolungare la carica di altri cinque anni. Ma poi non se ne fa niente. E’ giusto così. Fare il sindaco o il presidente di una regione per dieci anni continuativi è abbastanza. Uno ha tutto il tempo per realizzare i suoi programmi e dimostrare le sue capacità. Se poi, per l’incrociarsi di date e leggi, i mandati sono tre, com’è avvenuto per Giancarlo Galan, che è stato alla presidenza del Veneto per quindic’anni, dal 1995 al 2010, perché i primi cinque li aveva fatti prima che entrasse in vigore la legge che limitava a due i mandati, diventa anche troppo. Lo stesso dicasi per Luca Zaia, che si accinge a completare il terzo mandato, sempre per il medesimo meccanismo di legge descritto sopra. 

Alla scadenza del 2025 gli anni in cui è stato alla presidenza del Veneto saranno quindici. Un periodo di tutto rispetto, che gli è servito a dimostrare quant’è bravo, al punto da essere il presidente di regione più amato d’Italia. E sarà anche per questo che molti, che ne frattempo gli si sono affezionati, vorrebbero per lui ‘il terzo mandato’, che diventerebbe però il quarto. Decisamente troppo. Per quanto uno possa essere bravo e per quanto consenso abbia, la democrazia necessita di tempi certi e di un turnover di persone e di partiti. I rischi sono noti: incrostazioni di potere e sottopotere e scarso ricambio. Che sono poi i motivi che hanno ispirato la legge che stabilisce il massimo dei mandati a due. E qui la valutazione e l’apprezzamento delle persone non c’entrano. C’entra la democrazia e il rispetto delle sue regole, che non si possono cambiare in corsa.