(di Paolo Danieli) Damiano Tommasi ha rilasciato a Repubblica un’intervista dal titolo: “La Destra al governo è prepotente. Sulla gestione dell’Arena di Verona occupa tutte le poltrone. Li porto in tribunale”.
La posizione del primo cittadino di Verona nei confronti del governo è chiara. Come è chiara quella nei confronti della Fondazione Arena, la più importante istituzione culturale della città. Importante non solo per l’arte, ma anche per l’indotto che produce.
Se il conflitto fra il Comune e la Fondazione Arena, personificato nei rispettivi vertici, il sindaco da una parte e la sovrintendente Cecilia Gasdia dall’alto, fino a ieri era una ‘guerra fredda’, con l’ultima seduta del Consiglio d’indirizzo è diventata una guerra aperta. L’abbandono dell’aula da parte dei Revisori dei Conti, organo terzo che riteneva illegittima la presenza di un avvocato portato dal sindaco, che è anche presidente della Fondazione; l’abbandono da parte di quest’ultimo e di due suoi consiglieri nella convinzione che la seduta non fosse più valida; la continuazione della stessa che delibera a sostegno della linea della Sovrintendente e il conseguente ricorso al Tribunale delle Imprese da parte di Tommasi si possono leggere in un solo modo: è guerra aperta. E come in tutte le guerre ci saranno morti e feriti.
C’era da aspettarselo. All’origine la convinzione del Sindaco che la riconferma della Gasdia alla testa della Fondazione sia stata una prepotenza della Destra al governo. Secondo lui la scelta spettava al Comune, secondo la logica dello spoil system. Una logica che ha un suo fondamento e che in paesi come gli Stati Uniti funziona egregiamente, ma che in Italia non è regolamentata da nessuna legge. Il perché lo si può scoprire andando a ritroso nel tempo, nelle diverse concezioni del potere e della burocrazia. Ma il discorso ci porterebbe lontano.
Nella prassi è sempre stato il sindaco a indicare al Ministro il nome del Sovrintendente. Ma ci sono state eccezioni. Fra il 1994 e il 1998, con l’amministrazione di Michela Sironi (centrodestra) fu sovrintendente Gianfranco De Bosio (sinistra). Seguì il commissariamento di Angela Spocci, nominata dal governo di sinistra mentre a Verona era sindaco Michela Sironi. Con Paolo Zanotto (sinistra) nel 2002 il governo Berlusconi nominò Orazi (sinistra). Quindi con Flavio Tosi sindaco la Fondazione venne data in mano a Francesco Girondini (Lega) che la portò al disastro. Mentre era sindaco Tosi, il governo di sinistra nominò un bravo commissario, pure lui di sinistra, Giuliano Polo, che salvò la fondazione al fallimento. Infine su indicazione di Federico Sboarina il ministro della Cultura, Enrico Franceschini (Pd) nomina la Gasdia, di destra, che viene riconfermata dal governo Meloni per i brillanti risultati ottenuti nel primo mandato.
Ciò dimostra che non esiste una regola secondo la quale ad amministrazione di sinistra deve corrispondere un sovrintendente del medesimo colore e viceversa.
Se oggi a Verona non c’è corrispondenza politica fra la sovrintendenza e l’amministrazione comunale, “l’anomalia” sta nel sindaco, che è di sinistra in un contesto regionale e nazionale di destra. E Verona è destinata a pagarla. Quelli che improvvidamente un anno fa hanno votato Tommasi devono rendersi conto quanto sia importante per amministrare essere inseriti in una filiera politica che ti garantisca rapporti e condivisione di progetti. Oltre che essere capaci, naturalmente.