(di Sebastiano Saglimbeni) “In quella solitudine aspra della Corsica, dove gli abitanti erano remoti e selvaggi più delle fiere, dove i Romani erano rappresentati dai rozzi e imbarbariti discendenti dei veterani di Mario e di Silla, tra rocce e valloni e foreste, quell’uomo di mondo, ammirato e invidiato, fu preso da cupa disperazione”. Con questo, fra l’altro, l’umanista Concetto Marchesi reca in memoria Seneca, l’autore “più moderno della letteratura latina”. Era stato colpito da un tragico e imperdonabile potere che aveva decretato, in luogo della pena di morte, l’esilio. Per questioni morali in quella Roma imperiale.
Questo tragico ed eterno potere.
Che prima aveva colpito quell’altro grande uomo di mondo, Ovidio, ancora per questioni morali. Seneca poté ritornare a Roma per educare un giovane che assurse ad imperatore, persecutore, dopo, del suo maestro per altre cause. Seneca, che inneggiava alla morte liberatrice di ogni male, si tolse la vita.
Ovidio, che scartò la professione di avvocato, ”mercimonio e prostituzione della parola”, era a Roma il poeta prediletto dalle bellezze muliebri. Ebbe tre mogli, visse di poesia e di gloria. In età non più giovane, l’anno 8 d. C., un ordine di Augusto gli intimava di allontanarsi dall’Italia e di recarsi a Tomi, una lontana comunità della costa del Mar Nero. Un greve castigo di cui il poeta scrisse nei Tristia: ”La patria, tutto quanto poteva essermi tolto, mi fu strappato; ma l’ingegno no: esso è il mio compagno e il mio conforto; su di esso Cesare non poté avere nessuna potestà”. Un buon potere – vale osservare – le alte qualità letterarie del poeta! Nel 17 lo liberò la morte dalla lontananza di Roma, dalla solitudine e dalla disperazione.
Questo tragico ed eterno potere.
Oltre a quello regale, il sacerdotale. Storica ed indimenticabile la tortura che subì il frate domenicano Giordano Bruno, complici solamente le sue teorie eretiche. Venne incarcerato, processato, fatto spogliare nudo, legato ad un palo e bruciato vivo nel 1600 a Roma. Un atroce supplizio della religione! Con la turpe Inquisizione vennero bruciate persino tante donne considerate streghe o venditrici di piacere.
Il poeta Lucrezio, a proposito della religione, scrisse nel suo De rerum natura: “Tantum potuit religio suadere malorum”. (La religione poté soltanto indurre a dei mali”). Si riferiva al sacrificio di Ifigenia. Il potere religioso o sacerdotale. Ne scrisse in Inghilterra nel 1938 in una sua opera il filosofo Bertrand Russell. In questa si legge che i preti e i re ”benché in forma rudimentale, esistevano anche nelle società più primitive conosciute dagli antropologi… I re hanno sempre avuto la tendenza ad abbandonare le loro funzioni secolari ed a conservare il carattere sacro della loro persona, trasformandosi così in sacerdoti…. Se la forza morale della Chiesa non si fosse indebolita all’interno, i suoi oppositori non avrebbero potuto contare a loro volta su una spinta morale, e sarebbero stati disfatti come a suo tempo lo era stato Federico II”.
La Chiesa, la Chiesa, una sorta di capitale morale. Che oggi questa sua moralità-immoralità è tanto venuta alla luce. Tenta, il buon papa Francesco, di estrarla fuori dallo stagno malsano e di volerla francescanamente povera.
Questo tragico ed eterno potere.
Occorrerebbero pagine e pagine per ricordarlo, non escluso quello delle Rivoluzioni, ferocemente giustiziere. E ricordiamo quella scoppiata in Francia il 14 luglio del 1789 e quella in Russia nel febbraio 1917. Un potere diverso, distrusse quello monarchico e quello zarista. In seguito quell’altro potere di Francisco Franco, di Benito Mussolini, di Adolfo Hitler e dell’imperatore nipponico. Federico Garcia Lorca in Spagna, perché un poeta, mite e diverso. venne tolto barbaramente di mezzo nel 1936 dalla repressione nazionalista di Granada. Era giovane e prolifero di tanta scrittura. Il poeta pure una vittima dell’odio della Chiesa cattolica e di quella che egli aveva giudicato “la peggiore borghesia di Spagna”. Durante il fascismo, i due deputati, Antonio Gramsci e Francesco Lo Sardo vennero fatti morire lentamente durate le lerce carcerazioni inflitte dal Tribunale speciale. Altri, Giacomo Matteotti e i fratelli Rosselli, vennero assassinati. Visse, dopo l’ultima Guerra mondiale, ancora il potere di Francisco Franco, era finito tragicamente quello mussoliniano, quello hitleriano e quello nipponico. Gli assassini Americani ricorsero all’arma atomica che distrusse le città Nagasaki e Hiroshima. Dopo che cadde la bomba tanta, tanta la gente distrutta e larva terrificante.
Questo tragico ed eterno potere.
Quello della natura è il più terribile, il più distruttivo. Il poeta Giacomo Leopardi, in una sua poesia, estesa e ricca di storia, La ginestra o il fiore del deserto, ci descrive lo scempio della natura, consistente in quell’eruzione del Vesuvio, il vulcano distruttore nel 79 delle città romane Ercolano, Oplontis, Pompei e Stabia.
”Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dall’impietrata lava(…)
Or tutto intorno
una ruina involve(…)
E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste(…)”.
E oggi, come nel passato, subiamo l’azione micidiale della natura. Che, assieme al tempo, “vendicatrice”, distrugge la giusta e buona opera dell’uomo e quella deleteria dell’uomo. Ma la natura della terra comprende pure un maestoso potere. Nella piazza, ad esempio, Vittorio Veneto di Verona, un tempo non tanto lontano, campagna con alberi fruttiferi ed erbe mangerecce, svetta un cedro di oltre cinquant’anni di vita. Una scultura stupenda. E subito dopo, verso su, nella via 24 maggio svettano tanti tigli che, in primavera inoltrata, si congiungono al vertice e formano una verde galleria. Il loro profumo ci fa pensare ad un genere di miele delle api che hanno bevuto sui fiori di questi maestosi alberi. Dura poco il profumo dei tigli. Perché è stupendo.
Il corpo umano un altro potere della natura. Descrivevamo in un testo poetico che il corpo “è un despota”. Per tutto quanto ci procura quando viene guastato dai vari mali che la medicina combatte, ma pure abbatte. Seneca, che bambino venne portato a Roma, dove assurse a grande scrittore, scrisse nelle sue Consolazioni del corpo umano definendolo un “ miserabile corpo, carcere e catena dell’animo…”.
E del potere della parola? Sopra si accennava agli uccisi dal potere politico. Erano Uomini, Uomini che non avevano tenuta la lingua frenata nei confronti dell’infame violenza politica. La parola, l’espressione dell’uomo, eternamente versata. E quando si crede, nella diversa scrittura di saperla adoperare, essa ti sfugge, ti domina quando tu credi di servirtene. E non è quella che adoperi, ma un’altra, errata. Si ricordava sopra Giacomo Leopardi. Che, per compiere un suo testo, una prosa, un pensiero, una poesia, ostile all’estemporaneità, lavorava, lavorava, tanto, sino a quando riteneva compiuta la sua azione creativa.