Vittima collaterale dell’aggressione russa all’Ucraina, Intesa Sanpaolo ha deciso di chiudere il proprio ufficio di rappresentanza a Mosca. Non è una decisione da poco: In Russia, l’Ufficio di Rappresentanza di Intesa Sanpaolo è operativo da 49 anni e partecipa al finanziamento di importanti progetti russi, nazionali e internazionali. Al 31.03.2023, la Banca ha raggiunto un attivo di 151.6 bln di rubli, con un capitale sociale di 17.5 bln di rubli
Quella di Carlo Messina, consigliere delegato e amministratore delegato della banca, è una decisione che fa scalpore: con l’ordine di servizio 40/2023 del 31 luglio, decorrenza lo scorso 1° agosto, è stata disposta “la chiusura dell’ufficio di rappresentanza di Mosca” facente capo a Imi Cib international network. La piena attuazione delle disposizioni organizzative sopra riportate avverrà attraverso la graduale realizzazione dei necessari interventi operativi e procedurali”. Significa che l’uscita effettiva potrà avvenire nel giro di alcuni mesi.
Chiusa la rappresentanza, in piedi resta Banca Intesa Russia che dall’inizio della guerra ha bloccato l’attività. Dall’inizio del conflitto, l’esposizione totale verso la Russia è scesa allo 0,2% degli impieghi totali del gruppo. In particolare l’esposizione cross-border verso Mosca è passata dai 3,3 miliardi al 30 giugno 2022 a 700 milioni al 30 giugno 2023. In un anno rischi tagliati del 77% e nessun nuovo finanziamento erogato. A livello locale gli impieghi di Banca Intesa Russia alla clientela (al netto degli accantonamenti) sono passati da 400 milioni a 100 milioni di giugno 2023 (-66%). La discesa dei volumi potrebbe portare – secondo la stampa economica italiana – alla chiusura della banca.
Intesa Sanpaolo e Antonio Fallico, l’inventore del Forum Eurasiatico
La decisione del colosso bancario ha ripercussioni anche nella politica veronese: il numero uno della sede di rappresentanza e plenipotenziario di Intesa Sanpaolo in Russia nonché presidente di Banca Intesa Russia è infatti Antonio Fallico, console onorario della Russia a Verona, manager, 78enne, fondatore dell’Associazione Conoscere Eurasia che promuove Forum Economico Eurasiatico di Verona che l’anno scorso è stato obbligato a trasferirsi a Baku, capitale dell’Azerbaijan, per ospitare i fedelissimi del Cremlino sanzionati per l’invasione russa dell’Ucraina.
Fallico aveva scalato l’Associazione Italia-Russia prima a Verona (era la scuola che insegna il russo in via Mazzini negli anni Settanta e Ottanta) poi a livello nazionale. Tesserato del PCI, Fallico aveva svolto una serie di incarichi per la Banca Cattolica del Veneto, ma anche per Silvio Berlusconi in veste di editore e per la sua Fininvest, e nel 1995 Fallico assunse la guida della sede di rappresentanza del Banco Ambrosiano Veneto, e la mantiene anche quando la banca si trasformò in Intesa Sanpaolo.
Nel 2003 diventa presidente della neonata Banca Intesa Russia, anche grazie alla stima che ha per lui l’allora presidente della capogruppo italiana Giovanni Bazoli. E’ anche grazie al manager siciliano, ma oramai veronese, che Intesa e Gazprombank, braccio creditizio del gruppo energetico statale, creano assieme nel 2012 il primo fondo d’investimento italo-russo Mir Capital; ed è sempre grazie al suo lavoro che Intesa Sanpaolo partecipa nel 2016 alla privatizzazione del colosso dell’energia Rosneft e l’anno successivo guida un pool di banche che finanziano con 5,2 miliardi di euro il gruppo anglo-svizzero Glencore e il Qia, il fondo sovrano del Qatar, per comprare il 19,5% della stessa Rosneft.
Un’operazione colossale, che permette ai vertici della banca di essere insigniti direttamente da Putin di importanti onorificenze: per l’ad Carlo Messina e per il capo di Banca Imi Gaetano Miccichè l’Ordine dell’Amicizia tra i Popoli, per Fallico, che già aveva quell’onorificenza, il più “pesante” Ordine d’Onore.
Le amicizie nel centrodestra oggi atlantista
Grazie a questi risultati – ed alle relazioni nell’ex Urss – Antonio Fallico aveva guadagnato la fiducia dei partiti del centrodestra italiano (anche quello oggi più fermamente atlantista) e del sistema imprenditoriale che avevano appoggiato convintamente il Forum Economico che era diventato uno degli appuntamenti “must” della città. Ora bisognerà attendere la fine del conflitto e l’avvio della fase di ricostruzione dove, comunque, serviranno lobbisti veri in grado di far intercettare al nostro sistema produttivo le commesse che si apriranno sui entrambi i lati del fronte attuale. La “missione” di Antonio Fallico, insomma, non è affatto conclusa.