(di Gianni Schicchi) Sorprendente apertura del 32° Settembre dell’Accademia al Filarmonico grazie alla presenza del celebre pianista milanese Stefano Bollani e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai diretta da Juraj Valcuha.
Il programma della serata ripeteva quello di due giorni prima eseguito per il Festival Mi-To al Conservatorio Verdi di Milano e trasmesso in diretta su Rai 5, comprendente: l’Ouverture Candide di Bernstein, Red da Color Field della giovane londinese Anna Clyne, la famosissima Rapsodia in blue di Gershwin e la Sinfonia n° 9 Dal Nuovo Mondo di Dvorak.
Stefano Bollani si è ripetuto così nella Rapsodia in blue di Gershwin, pezzo forte della sua già felice incisione per Decca, con la Gewandhaus Orchester diretta da Riccardo Chailly, che tanto scalpore fece 12 anni fa al suo apparire sul mercato discografico. Non è un caso frequente che un certo brano, fra quelli scritti da un compositore, abbia “troppo” successo, nel senso che diviene tanto popolare da oscurare le altre sue composizioni, magari anche migliori.
Ben poche persone potrebbero oggi sostenere che i consensi che accolsero nel 1924 la Rapsodia in blue fossero immeritati, ma ciò non toglie che essa abbia finito per distogliere l’attenzione, fino ad oggi, da molte delle successive e spesso meglio organizzate composizioni di Gershwin. Infatti il brano aveva destato un clamore enorme, attirando su sé l’attenzione del mondo musicale statunitense, anche perché fino ad allora il musicista aveva scritto solo canzoni, mostrando poi una stupefacente abilità nell’improvvisare al pianoforte.
Ma con l’esperimento della Rapsodia aveva creato qualcosa di veramente nuovo, inserendo il giovane linguaggio del jazz, con la sua freschezza e la sua dirompente vivacità ritmica, in una cornice orchestrale sinfonica, accostando stili, forme e idiomi eterogenei in una fusione suggestiva: la Rapsodia era così diventata il prototipo di un nuovo genere.
Sono già passati dodici anni da quella incisione della Rapsodia in blue di Gershwin che vide Stefano Bollani balzare ai primi posti nelle vendite della classica, ma il riascolto del suo pezzo di domenica al Filarmonico ci ha dato una sensazione nuova, sorprendente: quella che il solista abbia perfettamente acquisito la rigidità della pagina classica, sviluppando una via interpretativa individuale, bene caratterizzata, che lo avvicina molto a quella mitica di un Oscar Levant, amico di Gershwin che assistette di persona alle fasi creative della rapsodia.
La capacità di screziare il tocco delle dita per ottenere delle differenze di sonorità è bene avvertibile in Bollani, soprattutto nel secondo movimento, dove viene rimarcata tutta la poesia intrinseca della pagina. Un’esecuzione perfino elettrizzante, carica di molte suggestioni, applauditissima dal pubblico (teatro esaurito) e che da abile intrattenitore lui ha voluto poi integrare con alcuni apprezzabili bis, come il mixaggio di New York, New York con America, una canzone di Gershwin ed una sua.
L’accompagnamento strumentale dell’Orchestra Sinfonica della Rai è parso davvero ideale. Jurai Valcuha si è subito distinto dal podio per precisione ritmica e brillante fraseggio, uniti alla consueta abilità nel rimarcare la trasparenza dei piani sonori che hanno reso piena giustizia e godibilità alla partitura. E il direttore slovacco è ritornato poi “sui suoi passi” con la grande Sinfonia n° 9 dal Nuovo Mondo del connazionale Dvorak, per una visione tutta personalissima specie nella dismissione di un certo tono generale appena ampolloso e retorico, a favore di più agili e moderne inflessioni.
Valchua beninteso mantiene, ogni tanto anche accentua, quelle macerazioni esistenziali e intellettuali dell’autore, ma della Nona Sinfonia ne esce una pittura sonora che è tutta en plein air, fatta di spazi, di profumi e di suono visti e uditi in una campagna o in un villaggio. La terra ne è la vera protagonista, con l’umanità e i misteri che la abitano.
Così la sinfonia per le mani del direttore slovacco finisce per prendere una levigatura e una bellezza strumentale esemplari, ma anche respiro e movimento, luci ed ombre, vitalità e forza indomabili. E basterebbero il Largo o l’Allegro con fuoco a confermarlo: qui con i colori e le morbidezze di certe sezioni degli archi, là con le dinamiche esaltanti di tutta l’Orchestra della Rai. Successo indiscutibile della serata con molte chiamate in proscenio per tutti gli interpreti.