Sette imprese familiari su dieci stanno investendo in formazione nel periodo tra il 2022 e il 2024, come hanno fatto anche prima della pandemia. L’obiettivo? Migliorare le competenze del personale e affrontare le sfide dei cambiamenti. I più convinti a investire in formazione sono i giovani imprenditori, con una quota del 73%, mentre piccole aziende (65%) e imprese al femminile (66%) sembrano incontrare più difficoltà, nonostante abbiano più bisogno di sviluppare le competenze dei dipendenti per sostenere lo sviluppo.
Purtroppo le imprese familiari che hanno investito nel e continueranno a farlo sono meno di quelle non familiari: il 69% contro il 77%. È quanto emerge dal rapporto su Strategie e politiche di formazione nelle imprese familiari curato da Asfor, Centro Studi Tagliacarne e CUOA Business School su un campione di 4000 imprese manifatturiere (la maggioranza) e dei servizi tra i 5 e i 499 addetti, integrato da un’analisi di case history di imprese leader.
Competenze, l’up-skilling attività di formazione più efficace
“Abbiamo delle eccellenze imprenditoriali molte delle quali a conduzione familiare che vanno preservate e tutelate. Per farlo è però necessario lavorare da un lato su solidi percorsi di formazione e sviluppo delle competenze interne alle imprese, e dall’altro su progetti volti ad aumentare le dimensioni delle imprese stesse”, sottolinea Federico Visentin, presidente di CUOA Business School. “Nella competizione globale, infatti, per le imprese crescere è l’unico modo per fare un salto di qualità che veda il sistema economico italiano più competitivo sui mercati internazionali”.
La chiave di volta per questo passo avanti si chiama “up-skilling”, la formazione dei dipendenti per sviluppare le competenze tecnico-professionali delle aziende. Il 52% delle imprese familiari punterà invece sul re-skilling, lo sviluppo di competenze innovative. Va però evidenziato che le imprese sembrano meno interessate alla formazione che sta alla base dei veri e propri cambiamenti: solo il 35% infatti attiva corsi per accrescere la responsabilizzazione, la capacità di iniziativa e innovazione delle risorse umane, ovvero l’intrapreneurship. E solo il 25% ha intenzione di migliorare la capacità manageriale di gestire nuovi modelli di business idonei a cavalcare, per esempio, le transizioni previste nei prossimi anni.
Inoltre il titolo di studio dell’imprenditore influenza la decisione di investire in formazione: la quota di imprese che investono in formazione è pari al 55% se l’imprenditore ha al massimo la licenza media, ma sale al 68% se ha il diploma, fino ad arrivare al 78% se è laureato. Per quanto riguarda il sostegno dei percorsi formativi programmati, il principale canale è l’autofinanziamento, scelto dall’80%. mentre solo il 29% usufruirà dei fondi regionali e il 23% dei fondi interprofessionali.
Bene Centro-Sud e “junior”, ancora in ritardo le piccole imprese
Buone notizie comunque arrivano dalle imprese familiari del Mezzogiorno, che sembrano avere maggiore consapevolezza che per cambiare passo non è sufficiente puntare sulla manutenzione del bagaglio delle competenze già acquisite. Anche per questo investono di più nell’intrapreneurship rispetto a quelle del Centro-Nord (il 39% contro il 34%) e nella formazione manageriale per nuovi modelli di business (il 30% contro il 24%). Le imprese familiari giovanili (gestite dagli under 35) hanno investito in formazione nel 73% dei casi. Questo valore è leggermente più basso, pari al 68%, per le imprese familiari non giovanili. Tuttavia questo non sembra ancora avere effetti nelle imprese guidate da donne: solo il 66% investe rispetto al 70% delle imprese familiari non femminili.
Di contro, le imprese familiari giovanili e femminili mostrano una maggiore propensione a investire in formazione finalizzata a produrre cambiamenti rispetto alle altre. Il 30% delle imprese di nuova generazione continua a credere nei corsi manageriali per nuovi modelli di business rispetto alle aziende più mature (24%). Per le imprese femminili il valore è leggermente inferiore (il 28%), ma comunque appaiono più propense rispetto alle imprese gestite da uomini, con il 25%.
Infine continua a farsi sentire il gap dimensionale. Le politiche di formazione del personale faticano ad affermarsi tra le aziende familiari più piccole (sotto i 50 addetti). Solo il 65% ha investito e continuerà nel futuro, contro l’86% di quelle medio-grandi. Un fenomeno che risulta più marcato per la formazione in re-skilling – dove le imprese che investiranno sono il 47% tra le piccole e il 71% tra le medio-grandi – e in orientamento intra-imprenditoriale (30% contro il 54%).