(di Bulldog–credits foto: SportDi+) Marcantonio Bentegodi, la Verona che in questi giorni ne celebra fasti ed eredità è la stessa che per un secolo buono si è approfittata del suo lascito che ha utilizzato per tantissimi scopi, la gran parte dei quali (se non tutti) per fini totalmente diversi. Una vicenda di cui Verona, per meglio dire l’Amministrazione pubblica di Verona, dovrebbe vergognarsi e ufficialmente chiedere scusa impegnandosi a ricostruire quel patrimonio ed a costruire quella politica sportiva “del popolo, dal popolo, per il popolo” che, per dirla con Lincoln, voleva nel profondo del suo animo il mecenate veronese.
Marcantonio Bentegodi, un lascito da 2,1 milioni €
Marcantonio Bentegodi (1818-1873) nel 1868 assieme ad altri bellissimi nomi della nostra storia patria (fra i quali Aleardo Aleardi) diede vita alla “Società veronese di ginnastica e Scherma Bentegodi” di cui era presidente, animatore e finanziatore. Bentegodi (era anche membro del Consiglio provinciale di sanità) immaginava uno sport per tutti, gratuito, indispensabile per combattere le infermità, utile alle formazione delle giovani generazioni.
A raccontare la consistenza e le complesse vicissitudini del lascito di Marcantonio Bentegodi – oltre alla Società Letteraria, alla Lega italiana di insegnamento per i Giardini d’infanzia, alla Società degli Esposti vennero beneficiati l’amministrazione provinciale di allora per la realizzazione di un Istituto industriale e professionale e il Comune per la gestione sportiva – è stata una tesi di laurea dell’Università di Verona, Facoltà di Economia, dottorando Carlo Alberto Russo e relatore il professor Sergio Noto, nell’anno accademico 2006-2007.
Cosa c’era nel lascito originario? un patrimonio di 351.111 lire dell’epoca che oggi varrebbero 1,3 milioni di euro, oltre 2,6 miliardi delle ultime lire repubblicane. I beni (26 unità immobiliari diverse più campi coltivati a cereali, vite, una risaia a Cittadella, Padova, e boschi per complessivi 164 ettari) erano dislocati su più zone e province e dunque si pensò bene di vendere il tutto e convertire il netto ricavo in titoli del debito pubblico. La liquidazione creò un patrimonio cash di oltre mezzo milione di lire del tempo, pari oggi a 2,1 milioni €.
Di questi 2,1 milioni € alla Fondazione Bentegodi – che oggi persegue i fini del mecenate – restano un appartamento di 5 vani e una palestra di 5.210 metri quadrati di proprietà in via Trainotti. Dove sono finiti gli altri soldi? venne costruito il primo stadio nel 1910 nell’ex ortaglia Weill Weiss (oggi c’è il parking Arena e contro questa finale destinazione Nicola Pasetto combattè duramente in Consiglio comunale per evitare la speculazione edilizia appena pochi anni prima di Tangentopoli…) costato 115mila lire lavori inclusi, venne realizzato il Lido con le prime piscine per la Rari Nates…e poi?
Carlo Alberto Russo con molta eleganza (e bontà d’animo) sottolinea come “la vicenda del patrimonio Benregodi rappresenta un esempio di come l’amministrazione pubblica si trovi in difficoltà nel gestire con efficienza i beni immobili in sua proprietà…e spesso preferisca l’alienazione invece di perseguire una gestione finalizzata all’incremento di valore..nel tempo“.
Eh no, caro dottor Russo: l’amministrazione pubblica si trova benissimo nel gestire e far sparire i patrimoni a lei affidati. Fosse diversamente, non ci troveremmo col 150% di debito pubblico.
Peccato per Marcantonio Bentegodi: lui voleva una Verona più forte e più sana. Se n’è fatta una molle e ladra. Per fortuna non ha fatto in tempo a vederla e viverla…