Colpisce principalmente gli uomini e consiste in una dilatazione dell’arteria che si trova proprio dietro al ginocchio. L’aneurisma dell’arteria poplitea è una malattia subdola perché, a differenza di altri problemi vascolari, è asintomatico. Se non ci si accorge in tempo c’è il rischio di perdita dell’arto perché le problematiche emboliche piano piano ledono il substrato vascolare del piede. L’avvertimento è di prestare attenzione quando insorgono difficoltà a camminare e, negli stadi più avanzati, comincia ad esserci il piede freddo e dolore a riposo.
Aneurisma del politeo, ecco i sintomi
Questo è uno dei temi trattati nel 18° convegno nazionale a Verona organizzato dal Collegio italiano dei primari ospedalieri di chirurgia vascolare. L’appuntamento annuale dal titolo “Open e endo: a ciascun paziente il suo trattamento”, per due giorni, ha messo a confronto i maggiori specialisti italiani che su ciascuna patologia vascolare hanno confrontato le due tecniche: quella tradizionale ‘open’ più invasiva e quella mininvasiva endovascolare.
Fra gli approfondimenti di politica sanitaria anche una tavola rotonda, moderata dal dottor Gianfranco Veraldi, sull’offerta del SSN e le esigenze del settore. Il confronto nazionale ha visto gli interventi dell’assessore alla Sanità dell’Umbria, Luca Coletto, il professor Franco Grego docente presso l’Università degli studi di Padova, il dottor Gaetano Lanza presidente Società Italiana di Chirurgia Vascolare e il dottor Andrea Gaggiano presidente del Collegio nazionale dei primari di chirurgia vascolare.
Sottolinea Gianfranco Veraldi (nella foto qui sopra) direttore Chirurgia Vascolare Aoui e co-organizzatore del convegno: «L’aneurisma del popliteo può avere una condizione d’altro rischio di amputazione, per questo l’indicazione è di non trascurare eventuali sintomi anche se minimi. Il trattamento di questa patologia è principalmente chirurgico aperto.
Si preferisce operare per vie tradizionali perché la posizione dietro al ginocchio comporta la piegatura dello stent una ogni volta che viene piegato il ginocchio, mentre con una protesi chirurgica il sistema diventa più flessibile e quindi dura di più. Abbiamo parlato anche di problematiche organizzative, compito dei primari è quello di dirigere una unità operativa. E’ un confronto fra modelli organizzativi perché ognuna delle venti regioni presenta un sistema sanitario a sé».
Aggiunge Andrea Gaggiano presidente del Collegio nazionale dei primari di chirurgia vascolare: «Ogni anno cambiamo location e ci rivolgiamo sempre a città con strutture di alta specialità e qui c’è un centro di chirurgia vascolare molto avanzato dell’amico Veraldi. Inoltre, la sanità del Veneto è di alto livello. Le più importanti patologie vascolari – aortica, carotidea, arti inferiori, vasi viscerali o la traumatologia – oggi hanno un ventaglio ampio di trattamenti, che ci permette di curare situazioni cliniche che fino a poco tempo fa erano impensabili.
La cosiddetta chirurgia tradizionale open o quella endovascolare per via percutanea ci permettono trattamenti ritagliati su misura per ogni paziente, in base a: lesione, condizioni generali, età, condizione anatomica, relazioni sociali e volontà del malato».