(di Stefano Cucco) In scena il racconto di un don Milani più intimo, un viaggio nella suo mondo interiore, arrampicandosi sulla parete della sua solitudine. Una storia in cui si sono intrecciati amore e morte. Questa sera, lunedì 16 ottobre alle ore 21 al Teatro Modus-Spazio Cultura di piazza Orti di Spagna a Verona, nell’ambito del Percorso “La cattedra dei folli”, Marco Campedelli è l’interprete dello spettacolo “Un Bene da Morire. Raccontare don Milani ascoltando il battito del suo cuore”.
La collaborazione artistica è di Vincenzo Todesco. Lorenzo Milani è nato in una colta e agiata famiglia a Firenze il 27 maggio 1923. Il padre era un chimico, appassionato di letteratura e impegnato ad amministrare i possedimenti e le terre della famiglia; la madre, una donna ebrea estremamente colta originaria della Boemia, negli anni della giovinezza aveva conosciuto James Joyce e gli studi di Sigmund Freud.
Il nonno paterno di Lorenzo fu docente di archeologia e numismatica; il bisnonno, Domenico Comparetti, un esperto filologo e senatore. In questo ambiente ricchissimo dal punto di vista culturale, Lorenzo Milani fu educato con i suoi due fratelli, Adriano e Elena. La famiglia era agnostica e di cultura laica. Successivamente decise di convertirsi al cattolicesimo. L’Arcivescovo di Firenze, Dalla Costa, lo cresimò nel giugno del 1943. Pochi mesi dopo entrò in seminario.
Era molto critico rispetto alla esteriorità di alcuni riti: secondo lui, centrale nella vita religiosa, doveva essere una rigorosa ricerca tutta interiore della verità. Don Milanipoi, fondò a Barbiana una scuola per i giovani del luogo, figli di contadini poveri e con pochi strumenti per emanciparsi. Il suo metodo fu assolutamente innovativo e radicale.
La scuola impegnava i ragazzi tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Non c’era la ricreazione, considerata inutile e uno sperpero del tempo. Si praticava la tecnica della scrittura collettiva; si leggevano i quotidiani, si discutevano e si scriveva insieme il commento. Erano previste conferenze e incontri settimanali con sindacalisti, politici, intellettuali. I primi a porre domande agli intervenuti dovevano essere coloro che avevano il titolo di studio più basso.
L’obiettivo di questo progetto educativo era l’emancipazione delle classi subalterne, un insegnamento volto a compensare quelle differenze di classe che nella scuola pubblica italiana avevano fortemente penalizzato i ragazzi più poveri e provenienti da contesti di disagio. Barbiana era una scuola totale, un impegno volto all’emancipazione a alla realizzazione dell’uguaglianza.
Durante il periodo a Barbiana, egli pubblicò tre testi: Esperienze pastorali, L’obbedienza non è più una virtù, Lettera a una professoressa che fecero molto discutere e influenzarono il dibattito sulla scuola, sulla necessità di rinnovamento della Chiesa, sul modo di intendere le ingiustizie sociali e gli strumenti per superarle. Don Milani, malato da tempo di leucemia, nell’aprile del 1967 si trasferì a Firenze nella casa della madre, dove morì il 26 giugno dello stesso anno. Fu sepolto a Barbiana.