(di Gianni Schicchi) Richard Galliano è uno stupendo virtuoso della fisarmonica (e non lo si scopre certo ora), forse il più grande interprete dello strumento oggi in circolazione. Il musicista italo/francese lo ha dimostrato ancora una volta inaugurando felicemente mercoledì sera, la stagione autunnale de I Virtuosi Italiani al Teatro Ristori e mostrandosi nel contempo anche un compositore di vaglia dopo aver inserito nel programma di sala alcune delle sue più accattivanti pagine.

Sia come fisarmonicista che come compositore Galliano è un musicista dai tratti assolutamente originali, straordinari, per la capacità di conquistarti subito, quando ti fa  ascoltare la sua Petite Suite Franꞔaise (commissionatagli nel 2006 dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia) e soprattutto l’Opale Concerto, un pezzo mirabile con i suoi tre classici tempi e la sua cadenza, che conserva un Moderato centrale di grande fascino tonale dove il pubblico del Ristori non è riuscito a trattenere l’applauso.

Ma anche ascoltando gli altri suoi brani: Habanerando, Tango pour Claude, Valse à Margaux, che conservano una profonda tensione emotiva, in cui si fondono mirabilmente ritmi popolari e sonorità contemporanee. La considerazione della quale poi gode Galliano è pienamente giustificata dalla meritoria opera di divulgazione svolta in campo discografico, incidendo alcune composizioni di raro ascolto e talvolta di notevole interesse con la stessa cura di solito riservata solo ai capolavori piazzoliani più famosi.

Un musicista insomma di solidissima preparazione tecnica, che dopo aver affinato i ferri del mestiere all’Accademia di Musica a Nizza, dove ha acquisito destrezza nel contrappunto e nell’arte della strumentazione, ha puntato a conquistarsi fama come autore di tango, ma non senza strizzatine d’occhio al jazz.

Di tutte le gradevolissime pagine in programma Galliano ha offerto un’esecuzione nitida e sgargiante, di ardente passionalità, ma dai tempi intelligentemente calibrati sulle loro ricorrenti allusioni a movenze di danza. Un approccio innovativo e per molti versi rivoluzionario nel saper mischiare elementi di musica da camera e di improvvisazione jazzistica, e che pur restando ancorati alle peculiarità piazzolliane si avvicinano stilisticamente all’emotività dei nostri tempi, rendendole ancora più attuali e persuasive.

Nella parte terminale del concerto il musicista ha proposto anche un commovente Oblivion che Piazzolla compose nel 1984 per la colonna sonora del film Enrico IV di Marco Bellocchio, poi diventato un brano autonomo, a sé stante. La levigatezza del suono di Galliano si unisce sempre ad una pulizia esposita pertinente. Un suono scorrevole e discorsivo, pieno e dinamico, ricco di sfumature, che nella voce della fisarmonica assume una tonalità nostalgica, dove precisa è la resa del sound argentino.

In apertura I Virtuosi Italiani hanno proposto anche la prima esecuzione assoluta della malinconica e nostalgica Esperanza di Roberto Di Marino. Un brano molto apprezzabile, di amabile inventiva melodica che si conclude con una seconda parte, dolce e serena.

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Il successo della serata può dirsi strepitoso – ripetute le chiamate per tutti gli esecutori – anche per la sua conclusione, con un inaspettato e travolgente bis: un tempo trascritto dalle Quattro Stagioni di Vivaldi. Quasi a far capire che con la fisarmonica si possono raggiungere molti traguardi, anche classici e ben oltre il tango.