(di Paolo Danieli) I soldi destinati alla sanità non sono una spesa ma un investimento. Questo deve mettersi bene in testa chi si sta scrivendo la Legge di Bilancio. Cioè il Governo. Sia Giorgia Meloni che Giancarlo Giorgetti. Un paese di gente in buona salute è un paese più forte, un paese che produce di più e più ricco. Ma c’è di più. Le risorse destinate alla sanità tornano indietro raddoppiate e diventano un guadagno per l’intera comunità nazionale. Sono insomma un volano economico di cui non possiamo permetterci di fare a meno.
A confortare questa tesi, di cui sono sostenitore da più di vent’anni, arriva il Rapporto che il Censis ha elaborato per la Federazione nazionale dell’Ordine dei Medici, che ha studiato i riflessi e l’indotto della spesa sanitaria. Se l’Italia -osserva il rapporto- è uno dei paesi con la più alta aspettativa di vita ( 82,7 anni) al mondo e terza nell’Unione Europea per speranza di vita con 82,7 anni dopo la Spagna (83,3) e la Svezia (83,1) lo si deve anche al nostro modello di assistenza sanitaria. Che quindi, conseguenza logica di questa convinzione, dev’essere preservato, perché, in fondo in fondo, come modello funziona. E se funziona male è perché non ci si mettono dentro abbastanza soldi. Oddio, degli sprechi e delle sacche di inefficienza ci sono. Ma investendoci di più ci guadagneremmo tutti. Vediamo perché.
La sanità volano e economico
Il Censis, prendendo come base la spesa sanitaria pubblica nel 2022, che è stata di 131,3 miliardi, pari al 6,7% del Pil, ha appurato che essa ha generato un indotto, diretto e indiretto, di 242 miliardi. In poche parole, ogni euro investito nel Servizio Sanitario Nazionale, genera un valore della produzione di quasi il doppio: 127 miliardi di euro pari al 6,5% del Pil.
Dei settori che beneficiano della spesa sanitaria il primo è quello dei servizi sanitari, che pesa per 126 miliardi con quasi 1,3 milioni di occupati. Segue il settore dell’assistenza sociale con 8,6 miliardi e 180 mila occupati. Poi il commercio, per poco meno di 9 miliardi e 95 mila occupati ei servizi amministrativi, legali e di consulenza per oltre 3 miliardi e 30 mila occupati. Infine i servizi di vigilanza e altro per 3 miliardi e 43 mila occupati.
Dall’indotto sanitario l’erario incassa oltre 50 miliardi: 28 di imposte dirette e indirette e quasi 22 miliardi di contributi.
La spesa sanitaria pubblica genera 2,2 milioni di posti di lavoro di cui 670 mila addetti e 57 mila medici di famiglia, guardie mediche e pediatri di libera scelta.
Se questi sono i dati reali, pensate che spinta avrebbe la nostra economia se il governo si decidesse ad investire di più sulla salute degli italiani.
Il confronto con la sanità di Francia e Germania
Per capirlo il Censis raffronta i dati italiani con quelli della Francia e della Germania. Il conto è semplice. Se l’Italia aumentasse la spesa sanitaria dagli attuali 2.226 euro pro capite, pari a una spesa totale di 131.393 miliardi, ai 3.739 euro di quella francese, con una spesa totale di 220.717, ci sarebbero 1,5 milioni in più di posti di lavoro, per un totale di 3,8 milioni. Ipotizzando poi una spesa al livello tedesco, cioè a 4.702 euro pro capite con una spesa sanitaria pubblica totale di 277.572 miliardi, si genererebbero 2,5 milioni di occupati in più per un totale di occupati diretti, indiretti e indotti sarebbe di 4,7 milioni.
Chissà se i risultati di questo rapporto di un istituto autorevole come il Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) sono noti anche a chi sta al governo. Forse no. I miliardi destinati alla sanità nella legge di Bilancio 2024 sono solo 134.