(di Bulldog) A vent’anni, di guardia su un’altana, era difficile trovare un senso a quanto recita l’articolo 52 della Costituzione italiana: “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Come era difficile comprendere cosa implicava quel giuramento che avevamo prestato e che aveva segnato il nostro ingresso nella vita adulta: “Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni”.
Il senso di quel “sacro dovere” – e non a caso soltanto nell’articolo 52 la Costituzione usa quell’aggettivo – lo si comprende col tempo quando i capelli ingrigiscono e quando ti rendi conto che su quell’altana hai permesso a milioni di tuoi concittadini di dormire tranquilli e di continuare a sbrigare le proprie faccende senza preoccuparsi se qualcuno fosse intenzionato o meno a cambiare con la forza la loro vita o a portargliela via perché diversi per razza, religione, credo politico o per semplice voglia di rapina.
Quella guardia sull’altana trova un senso ancor più oggi col nostro Paese preso “in forcella” da due conflitti – in realtà, uno solo giocato su più fronti – e con la sfida evidente fra Occidente e Tirannia.
E allora, nella giornata che ricorda centinaia di migliaia di ragazzi in grigioverde che sono andati avanti, forse val la pena chiedersi se il patrimonio costruito in oltre un secolo e mezzo di Esercito unitario possa servire ancora, e come, a questa Nazione.
Se, ad esempio, il valore educativo che ha rappresentato – la diffusione di una lingua comune, l’insegnamento scolastico di base e professionale, la condivisione di valori, la conoscenza del proprio Paese, delle sue diversità e delle sue fragilità – possa nuovamente tornare utile per una ripresa morale dell’Italia.
L’esercito italiano – dal Piave al Don, dal Vajont all’Afghanistan – è stato uno dei pilastri del Paese. Ha permesso di superare differenze storiche e culturali, di includere nello Stato unitario popolazioni molto diverse fra loro, di creare una coscienza nazionale. Forgiata nel dolore, purtroppo molto spesso. Negli errori, certamente. Nel becero dispotismo, talvolta. Ma quella coscienza l’ha creata.
E oggi, quando il 12% della popolazione non è nata in Italia; quando nelle classi delle scuole, la percentuale di alunni di origine straniera viaggia fra il 30 e il 90%, forse torna indispensabile uno spazio che imponga a tutti di rispettare regole, di imparare a convivere, di insegnare valori universali e il senso del servire la propria comunità, di far conoscere fra loro le nuove generazioni italiane.
Nel nostro Paese ci sono tantissime persone che blaterano ogni giorno di inclusione, ma che non vanno al di là della loro domestica filippina. E poi c’è una Istituzione che ha fatto dell’inclusione la sua ragion d’essere. E che l’ha realizzata. Forse dovremmo ripartire proprio dalle stellette e da quel grigioverde che sta lì, nella nostra storia moderna di Italiani.