(di Bulldog) Ferma restando l’ umana partecipazione alle sventure dei singoli, c’è uno stucchevole dejà vù nelle cronache della ennesima alluvione italiana: le solite strade che diventano torrenti; le auto sommerse; le persone affrante; le case invase dal fango… le cronache, alla fine, sono tutte uguali. Si ripetono ogni quattro/cinque mesi riprendendo la stessa Italia dolente.

Stucchevole anche il rimpallo delle responsabilità; la nomina di Commissari del governo coi rimborsi a piè di lista più o meno ricchi; le polemiche sui ritardi e la generale richiesta di fondi pubblici, tanti e subito. Tutto già visto dieci, cento volte.

Un’Italia dolente, ma non previdente. Che il nostro sia un Paese fragile non lo dicono soltanto le cronache ma la stessa orografia; che il riscaldamento globale abbia un impatto maggiore nelle regioni costiere al vertice del Tirreno è una certezza statistica; che la tropicalizzazione colpisca indifferentemente nord, centro e sud anche questo non è una novità..

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L’Italia però finge di non sapere, non si accorge che il mondo cambia. E così ha scelto di non investire. Non da oggi, da almeno trent’anni. Preferisce spendere in altre cose: ad esempio, un welfare gigantesco, più di 500 miliardi fra pensioni (ovviamente i contributi versati non potrebbero generare questo montante…) e sanità. Lo Stato getta poi altri 90 miliardi in bonus e marchette varie alcune delle quali destinate a risarcire imprese e privati dai danni del clima.

Bisogna iniziare a dirci la verità: ovvero che non ha senso spendere così tanto e così male per intervenire sempre a posteriori. Mai un’opera di prevenzione, mai un intervento risolutivo. I 90 miliardi di marchette potrebbero finire in buona parte – senza chiedere soldi a Bruxelles – nella manutenzione che terrebbe alto il livello produttivo del settore delle costruzioni prima che arrivi il downsizing post superbonus.

Ma non è soltanto l’Italia che vede darsi una mossa come sistema: non possiamo, come cittadini, non prendere consapevolezza del problema ed affidarci esclusivamente allo Stellone e alla borsa della Repubblica. Ciascuno nel proprio piccolo deve attrezzarsi, assicurarsi, tenere ordine nei propri terreni, investire nella manutenzione, prevedere l’emergenza. Viviamo nel Paese più bello del mondo che, però, è uno dei più fragili.

Basta allora con la retorica dell’alluvione, col chiagni e fotti collettivo. Smettiamo di fare le cicale e, magari, la prossima bomba d’acqua non ci farà così male.