(di Simone Alessandro Cassago) Che risvolti avrà il conflitto palestino-israeliano sulle economie mondiali? Dobbiamo temere per l’inflazione di per sé ancora alta a livello globale? Andiamo per gradi analizzando tutte le variabili:
Nell’immediatezza del conflitto, il 7 ottobre scorso, i mercati hanno manifestato, e manifestano tuttora una certa volatilità, che è conseguenza diretta della guerra in corso; restano sorvegliati speciali i titoli legati al mondo energetico (petrolio e gas), i quali stanno continuando da circa una settimana, una brusca inversione, rispetto ai pesanti rialzi avvenuti nella prime due settimane del conflitto in Israele (allora il greggio quotava circa 87 $ al barile, ora ne quota 76 e il gas naturale, che registrò in prima battuta, una “fiammata” in aumento di oltre il 38% dei prezzi, ora è sceso a valori più tollerabili).
Questo è dovuto ad una fase di rallentamento dell’economia globale, particolarmente in Cina, e dall’effetto dei cambiamenti climatici, che si traducono in temperature particolarmente miti, pur essendo vicini alla stagione invernale, cause che stanno ridimensionando l’offerta da parte dei paesi OPEC più la Russia.
Il primo esportatore mondiale, L’Arabia Saudita, ha fatto sapere che manterrà il taglio volontario di produzione di 1 milione di barili al giorno sino a fine anno con l’obbiettivo di voler mantenere; il perdurare di temperature ancora miti ha lasciato inalterato negli ultimi dieci giorni il prezzo del gas, i cui livelli sono ancora lontani da quelli visti solo un anno fa.
Per quanto concerne le ripercussioni sull’inflazione (di cui si vede nel grafico suindicato lo stato attuale della stessa nei principali paesi EU, con un paese Italia in cui sta decrescendo , ma rimane ancora attestata sopra la soglia del 5%) del conflitto in corso è ancora presto tirare le fila e poter dire con certezza che vedremo ulteriori aumenti, vista la situazione, al momento, calmierata sul fronte energetico; certo un nuovo conflitto che si inserisce in un quadro geopolitico confuso non aiuta a stilare previsione ottimistiche, osservando anche la situazione dal punto di vista di un PIL che arranca, con il nostro paese fanalino di coda purtroppo.
Secondo gli economisti, allo stato attuale delle cose, vi è una bassa probabilità del ripetersi di uno shock inflazionistico (come nel 2021-22), anche con un conflitto in corso, in quanto la situazione è molto differente da quanto accadde con la crisi del 1973; allora il cartello OPEC era molto compatto, e con una posizione diversa da quella attuale. Oggi l’importanza del petrolio è un po’ diminuita , e la sua intensità energetica si è praticamente dimezzata rispetto agli anni ’70; se, però, nella partita dovesse entrare a pieno titolo l’Iran (che sta appoggiando Hamas ma non è in guerra) allora la situazione muterebbe radicalmente.
Per ora appare non così scontato che si inneschi un meccanismo di “solidarietà araba” come nel ’73. Allora l’Opec cercava un’espediente per far rialzare i prezzi dettati dalle grandi compagnie anglo/statunitensi; nel contesto attuale la dipendenza dal petrolio è inferiore, e il medio oriente è politicamente più diviso rispetto al passato.
Siamo, tangibilmente, solo nelle condizioni di poter monitorare l’andamento del conflitto fino a fine anno, allo scopo di trarre più approfondite conclusioni, considerando i rischi che lo stato di tensione, possa anche degenerare in una guerra fra Stati (tutto da provare).
Adesso come adesso, concludendo, i governi della UE, in particolare il nostro, rimangono col nodo di un rischio recessione, se non verranno adottate ulteriori misure per far scendere l’inflazione, e stimolare la crescita di un PIL stagnante, che preoccupa non pochi fronti.