Antonio Serena, veneto, giornalista, scrittore, politico, autore di numerosi saggi storici è l’autore di una storia di un divorzio condotto in maniera anomala, senza che il giudice parli una sola volta con i coniugi.
Nella prefazione, scritta da Vittorio Sgarbi, il significato di questo romanzo immaginario ma non troppo, in quanto esperienza di molte coppie che hanno vissuto simili vicissitudini.
Scrive Sgarbi:
«Quando mancano le idee nascono parole nuove. Ai tempi dei miei genitori non esisteva la parola “femminista” e, conseguentemente, neanche la parola “maschilista”. Con il tempo se ne è capito il significato: volevano dire non solo la fine della famiglia, ma il rovesciamento dei ruoli. Ciò che nella mitologia erano Hermes e Hestia (fino a Giorgia e Andrea – ndr. riferito alla vicenda Meloni/Gianbruno-), cioè la condizione dell’uomo e quella della donna, in una società organizzata sulle diverse responsabilità, è diventata una lotta delle donne per conquistare spazi “esterni” che non erano mai stati preclusi né interdetti, ma limitati alla capacità e alla vitalità di alcune donne.
Mia madre era più forte di mio padre, e non è mai stata femminista. Era una donna coraggiosa. Non che mio padre non lo fosse, ma era più contenuto o trattenuto, era meno audace.
Il problema era caratteriale, ma il femminismo impose un rovesciamento dei ruoli e un combattimento per conquistare spazi storicamente occupati dai maschi. Infatti la storia è in parte mutata: le donne hanno occupato quegli spazi, e sempre più, le famiglie si sono dissolte. Neppure l’adulterio, formidabile correttivo alla malformazione del matrimonio, era più sufficiente e, con il femminismo, iniziò l’era del divorzio. A prevalente vantaggio delle donne.
È l’argomento da cui muove il libro di Antonio Serena “Scene da un divorzio”. Storia di paradossi bene evidenziati dal diverso trattamento di due donne privilegiate, in quanto assurte ai vertici dello Stato: il già Presidente della Camera Laura Boldrini e il già Presidente del Senato Elisabetta Casellati. Leggiamo, non senza qualche stupore:
“Le offese e le minacce sui social possono essere giudicate in maniera diversa. Il giudice del tribunale di Savona Emilio Fois ha condannato il sindaco di Pontinvrea Matteo Camiciottoli, accusato di diffamazione ai danni dell’allora presidente della Camera Laura Boldrini, al pagamento di ventimila euro di multa, con pena sospesa subordinata al risarcimento dei danni entro un mese. Boldrini aveva querelato il sindaco poiché quest’ultimo, commentando sui social gli stupri avvenuti in spiaggia a Rimini nell’estate del 2017, aveva affermato che gli arrestati “dovevano essere mandati ai domiciliari a casa della Boldrini, magari le mettono il sorriso” (si veda “Corte d’Appello. Attacco sessista a Laura Boldrini, condanna confermata per Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea”. I fatti risalgono al 2017 quando l’allora presidente della Camera querelò il sindaco leghista per diffamazione. Il PM Chiara Venturi aveva chiesto otto mesi di reclusione.
Anche l’attuale ministro per le Riforme istituzionali Elisabetta Casellati era stata travolta nel 2021 da una violenta campagna di odio, con minacce di questo tenore su Facebook e Twitter: “Ammazziamo la Casellati”, “Voglio uccidere la Casellati”. Per il PM Erminio Amelio della Procura di Roma, però, non si tratta di un reato: il pubblico ministero ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’inchiesta aperta con l’ipotesi di minaccia aggravata. Il motivo sta nel fatto che non si tratterebbe di minacce reali, quanto, piuttosto, di una rabbia politica espressa con quelle parole nei confronti di un’istituzione. Secondo gli inquirenti, senza l’aiuto del suo staff, difficilmente Casellati si sarebbe accorta di quelle esternazioni violente; e così è scattata la decisione di chiedere l’archiviazione del caso (si veda Casellati insultata sui social: «Uccidiamola». Ma non è reato: prosciolti. Il pm: «Rabbia politica, non minaccia reale»”
Il diverso verdetto dipende certamente dalle diverse posizioni politiche delle due Presidenti. Ma non va trascurato che una era femminista e l’altra no.
Le vicende parallele fanno riflettere su un’altra parola che non esisteva fino a qualche anno fa, e negli ultimi tempi è frequentemente collegata alle mie parole o alle mie posizioni. La parola è ,nel doppio senso di aggettivo e sostantivo,”sessista”. Un ulteriore estensione del vituperato “maschilista”, ma con minore pregnanza e maggiore gravità. “Sessista” è prevalentemente un maschio che parla di una donna in termini sessuali, ovvero con riferimento al piacere fisico o al desiderio o all’avvenenza o alla sensualità determinata dalla visione di una donna.
Mancando il riferimento al sesso del “sessista”, l’orrido neologismo dovrebbe valere anche per il desiderio o il piacere di una donna, per la sua dichiarata attrazione per un maschio, per i suoi ragionamenti sulla bellezza o sulla prestanza di un uomo. L’inconsistenza della parola si mostra proprio in questo. Una donna che si innamora del sesso di un uomo non è sessista. Non lo è, come invece dovrebbe esserlo, una pornostar, e non lo è neanche una “femme fatale”, ovvero una seduttrice, categoria che sembra estinta. “Sessista” sono io se parlo delle donne che ho conosciuto e perfino se parlo della mia prostata, che comporta alcune, perfino comiche, limitazioni. Sessista è, in forma caricaturale e ridicola, il Pasquale Ametrano di Verdone. La conseguenza è che non si può scherzare, e lo dimostra, esemplarmente, il caso Giambruno. Evidentemente ignaro della congiura delle parole che incollano chiunque pensi di poter fare battute sul sesso, oggi improponibili, alla sua minorità. E lo fanno colpevole anche dello scherzo. Finito il gioco, finito il divertimento, finita l’ironia. Essere ridicoli non è né un alibi, né una giustificazione. Sarebbe inimmaginabile oggi l’umorismo che rese celebre il “Gastone” di Petrolini:
“Gastone, sei del cinema il padrone..Gastone, Gastone.
Gastone, ho le donne a profusione
e ne faccio collezione…Gastone, Gastone.
Sono sempre ricercato per le firme più bislacche
perché sono ben calzato perché porto bene il fracche
con la riga al pantalone, Gastone, Gastone.
Tante mi ripeton: sei elegante!
Bello, non ho niente nel cervello!
Raro, io mi faccio pagar caro
specialmente alla pensione…Gastone, Gastone“.
E, come è già accaduto con il finale rovesciato della “Carmen”, presto, non essendo emendabile, sarà irrappresentabile il “Don Giovanni” di Mozart, soprattutto l’aria “Madamina il catalogo è questo”:
“Madamina, il catalogo è questo
delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt’io;
osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta;
in Almagna duecento e trentuna;
cento in Francia, in Turchia novantuna;
ma in Ispagna son già mille e tre.
V’han fra queste contadine,
cameriere, cittadine,
v’han contesse, baronesse,
marchesine, principesse.
e v’han donne d’ogni grado,
d’ogni forma, d’ogni età.
Nella bionda egli ha l’usanza
di lodar la gentilezza,
nella bruna la costanza,
nella bianca la dolcezza.
Vuol d’inverno la grassotta,
vuol d’estate la magrotta;
è la grande maestosa,
la piccina è ognor vezzosa.
Delle vecchie fa conquista
pel piacer di porle in lista;
ma passion predominante
è la giovin principiante.
Non si picca – se sia ricca,
se sia brutta, se sia bella;
purché porti la gonnella,
voi sapete quel che fa”.
Le mie considerazioni si spostano, come si vede, sul costume, e la paradossale vicenda di Giambruno lo dimostra, mentre il tema affrontato da Antonio Serena riguarda invece, drammaticamente il rovesciamento del potere profondo della donna nell’ambito familiare, alla luce del divorzio, e la mortificazione del maschio nella separazione della coppia. Eccone la sintesi:
“Accade così che vengano emesse sentenze assurde che, nel particolare momento in cui viviamo, vanno spesso a penalizzare il genere maschile, riducendo molti padri di famiglia a condurre una vita miserevole, a mendicare il diritto a vedere i propri figli, senza alcun aiuto che non sia quello elargito dagli enti di carità, e finendo a volte a dormire per strada o in un’auto. Un mondo sommerso che riaffiora molto raramente, le cui vicende vengono spesso travisate dai mezzi di comunicazione, perché in contrasto con la cultura dominante, che ha deliberato che il maschio sia sempre e comunque l’oppressore e la donna la vittima da riscattare da anni di privazioni e schiavitù “.
Le illuminanti considerazioni di Serena sono fondate su numerosi casi di discriminazione di padri separati, e sulla tragica storia raccontata, carica di esperienze vissute, e convalidano la lucida osservazione di Stanislaw Lec: “Siamo tutti uguali davanti alla legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla“.
Amara verità in tempi difficili».