(di Gianni Schicchi) Poter disporre di un grande pianista, come Louis Lortie, all’inaugurazione della stagione concertistica de I Virtuosi Italiani, è sicuramente un grande privilegio, oltre che essere un “colpo da manuale” che poche istituzioni musicali si possono permettere, considerati gli innumerevoli impegni del celebre pianista franco-canadese.
Un complimento va quindi rivolto al direttore artistico Alberto Martini che è riuscito nell’intento di farlo ascoltare al pubblico veronese e con un indovinato programma mozartiano che è andato così a impreziosire ulteriormente il calendario delle celebrazioni di “Mozart a Verona”.
Louis Lortie nella sua performance al Ristori è parso voler riportare in piena luce il contesto in cui i due Concerti numeri 20 e 23 col Rondò K 382 erano nati, ovvero nella autentica tradizione dell’autore direttore e solista, con un complesso dei Virtuosi Italiani scintillante, che ha colpito per densità di suono e brillantezza di articolazioni, grazie soprattutto alla sezione dei fiati che per l’occasione hanno rimpolpato la tradizionale formazione di archi dei Virtuosi.
La performance di Lortie
Lortie ha toccato molteplici atteggiamenti espressivi muovendosi sul pianoforte con sorprendente scioltezza nel riuscire a sviluppare sfumature di suono e varietà di fraseggio autorevoli. Non ultima anche una cantabilità lucente nel celebre Adagio del numero 23 K 488 – bissato al termine del concerto con la Fantasia in re minore – evidenziando come nelle cadenze originali emerga forse l’unicità stupefacente del genio mozatiano.
La mano è sicura nella scansione di ogni articolazione, ma quello che colpisce ancora in Lortie è quanto la direzione d’orchestra abbia portato ad una sintesi ed una chiarezza mentale, totali nell’approccio alla tastiera, fatto che in molti pianisti puri risulta invece un po’ confuso, soverchiato dalle problematiche tecniche, dal tasto più che dalla musica.
Presentarsi come direttore-solista, specie nell’ostico Concerto n° 23, sembra quasi una sfida, ma aiuta a comprendere l’essenzialità della sua concezione musicale. Lortie ha esposto un pianismo fatto di musica e di strutture che nulla a che vedere con voli pindarici del timbro o col culto dell’agilità (che certamente non gli manca), né abbiamo ritrovato in lui il suono magnetico di altri affermati concertisti, a cui molti sono soggiogati, come se Mozart al pianoforte si riducesse a sole sonorità.
In molti pianisti si è ormai consolidato un mondo di dogmi intorno ad una idea di “suono bello”, anzi bellissimo, senza interessarsi a sufficienza di come articolare le frasi e di come porsi realmente in relazione all’interno di una dimensione cameristica della musica e del significato di “concerto”.
Alla delicatezza di tinte e alla presenza viva della pulsazione ritmica – l’energia cinetica della mano sinistra, ad esempio – Lortie ha affiancato la semplicità dell’esposizione, come nella Romance del Concerto n° 20 K 466, di una cantabilità dall’estrema carica espressiva, dove il rapporto con l’orchestra è stato inscritto in una dimensione totalmente cameristica, partendo dalla disposizione degli strumenti intorno al pianoforte con i fiati al centro, che afferma la priorità di una linea continua tesa tra il tutti e il solista, senza prevaricazioni, di cui si parla spesso molto, ma che si sente invece di rado.
Il concerto è stato inciso da Filippo Lanteri, fondatore e ingegnere del suono di Audioclassica, con l’innovativo sistema Dolby Atmos che permette un suono stereo migliorato, su cui attendiamo esiti di ascolto anche solo in cuffia, aiutato da alcuni pannelli insonorizzanti sul soffitto del palcoscenico. Grande successo della serata, con una dozzina di chiamate in proscenio per Lortie e platea del Ristori al limite dell’esaurito.