Amarone, la Valpolicella si interroga sul suo futuro dopo la discesa dei vini rossi, solo congelata dal rimbalzo post Covid ma resa verticale da un 2023 negativo. Un cambio nei consensi che è già in atto da tempo. Complice un mix di fattori generazionali ed etnici – ma anche climatici – i palati di tutto il mondo stanno progressivamente spostando le proprie preferenze verso tipologie di alcolici diverse dal vino, e in particolare dal suo colore simbolo.

È l’istantanea dell’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), oggetto del focus di oggi ad Amarone Opera prima (3-4 febbraio), il consueto appuntamento annuale dedicato al Re dei rossi veneti organizzato dal Consorzio vini della Valpolicella, con 70 aziende partecipanti (nella foto in apertura, Mauro Bustaggi, Christian Marchesini e Andrea Lonardi MW che guidano il Consorzio di tutela).

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Un talk, “Clima, produzione e mercati: la Valpolicella alla prova del cambiamento”, in cui il Consorzio ha voluto interrogarsi sul futuro di una denominazione giovane, protagonista di una crescita vertiginosa negli ultimi vent’anni. “Abbiamo scelto un approccio più critico che celebrativo per festeggiare la 20^ edizione dell’evento dedicato all’Amarone – ha detto il presidente, Christian Marchesini -. Come Consorzio crediamo però che il modo migliore per continuare a crescere sia quello di analizzare con serietà e puntualità le sfide che i cambiamenti climatici, le nuove dinamiche di consumo e gli sviluppi sui mercati pongono alla denominazione – conclude –.

Dobbiamo, vogliamo e possiamo fare un Amarone sempre più competitivo, più contemporaneo”.

Amarone, alla ricerca di uno stile nuovo, autentico ma nuovo

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Per il vicepresidente del Consorzio, Andrea Lonardi (MW): “L’Amarone è stato in passato un vino che ha soddisfatto una domanda di mercato. I produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati, a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole. Questo ha consentito un grande successo volumetrico.

Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento del mercato richiedeva. Oggi quel segmento non cresce più e regala molte più ombre che sicurezze per il futuro. Dobbiamo quindi cambiare ed evolverci reindirizzando i nostri vini verso un cambiamento sia in termini di geografie di mercato, che di profilazione del consumatore. Per farlo occorre, anche ma non solo, un cambio stilistico. I vini commercialmente solidi sono infattifine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, vini che hanno valori e un wording comunicativo specifico tali da renderli identitari.

Occorre pensare a un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambi: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi”.

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Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv, nel 2023 l’Amarone ha subìto una battuta d’arresto nei volumi esportati (-12%), a circa 75 mila ettolitri, dato comunque in linea (+1%) con il 2019 e sensibilmente in crescita negli ultimi 10 anni (+17%).

Il calo tendenziale dell’export nell’ultimo anno è dovuto da una parte a riduzioni reali dei consumi (in particolare Scandinavia e Canada, in parte Germania, che ha comunque registrato un forte aumento delle vendite nel canale retail), mentre negli Stati Uniti, al trend generale dei vini rossi, si è affiancato l’effetto congiunturale del destocking di prodotto accumulato alla fase distributiva, che ha coinvolto tutto il vino italiano e non solo, rallentando in maniera significativa le richieste di vino dall’estero. Stabili, infine, le vendite sul canale retail italiano.

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Un quadro, quello illustrato oggi, che mostra cali importanti per i principali vitigni dei 5 Continenti e i principali competitor, con l’export dei rossi francesi nell’ultimo biennio che si è contratto del 15% e quello spagnolo di oltre il 20%.  Lo scorso anno i consumi globali della tipologia hanno fatto segnare un -7% rispetto al 2021, con forti ridimensionamenti negli ultimi 12 mesi nei principali mercati di sbocco, a partire da Usa (-9%), Canada (17%) fino ai Paesi Scandinavi, alla Cina e alla stessa Italia (-5%).

“Per la prima volta dopo decenni di boom, il mercato del vino registra una sorta di restrizione del recinto in cui opera – ha detto il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini -, ma ci sono le eccezioni importanti nei segmenti premium della nostra offerta.

Negli Usa, per esempio, a fronte di vendite generali di vino rosso italiano a -9% nel canale più profittevole, quello dell’on-premise (ristorazione, locali, hotel), l’unica fascia di prezzo che è riuscita a strappare aumenti è quella all’ingrosso sopra i 25 dollari a bottiglia (+2%). Da qui devono ripartire i prodotti italiani, dimenticando il concetto di rosso da “mass market” e coltivando forti valori di identità e coerenza territoriale e stilistica”.

Amarone, ecco il millesimo 2019: fresco, bevibile e capace di invecchiare bene

Amarone Opera prima è dedicato all’annata 2019. Un millesimo che, secondo il panel di degustazione del Consorzio, si aggiudica le 5 stelle grazie a una “qualità sensoriale elevata, con profili olfattivi e gustativi che rispecchiano le caratteristiche della denominazione in modo centrato e moderno. Per quanto riguarda la prospettiva di longevità, l’annata 2019 presenta un grande potenziale di invecchiamento senza difettare in freschezza e bevibilità, collimando perfettamente con gli odierni trend di consumo”.