(di Giovanni Perez) La pubblicazione del libro Un chemin de pensée, dedicato ad Alain de Benoist in occasione dei suoi 80 anni, mi ha ispirato alcune riflessioni riassunte nel titolo di questo mio contributo.
Devo subito dire che ho avuto l’onore di conoscerlo, ormai molti anni fa, e da allora ho seguito il suo “pensiero in cammino” fin da quando la “Nouvelle Droite” francese, trovò eco in Italia nella “Nuova Destra” di quanti divennero, in alcuni casi, anche miei cari amici: Tarchi, Solinas, Cabona… Ancora oggi sono fedele abbonato a “Diorama letterario” e “Trasgressioni”, dirette proprio da Marco Tarchi, che a tutti raccomando quali letture imprescindibili per capire qualche cosa di questo nostro mondo in fibrillazione, per non dire di peggio e di più grave.
“La Verità” ha molto opportunamente pubblicato un’intervista di De Benoist rilasciata ad Adriano Scianca nella quale egli, ancora una volta, afferma di avere “molte difficoltà a riconoscersi in una qualunque destra”, nonostante le accuse di volta in volta nel corso di vari decenni, ormai, espresse contro di lui, tra le quali emergono per perfidia quelle lanciate da Bernard-Henry Lévy, sicuramente ahi lui, rimaste insuperate.
Gli 80 anni di de Benoist
De Benoist è arrivato ai suoi 80 anni vivendo questa situazione paradossale, che mi ricorda un po’ quella di Prezzolini, perché le sue idee hanno per lo più trovato una eco a destra, nonostante il fatto che egli si sia effettivamente congedato dall’appartenenza a quest’area politico-culturale ormai da molti anni. E tuttavia, come non riconoscere e respirare in molte delle sue analisi critiche delle ideologie e delle politiche dominanti, come la critica alla mentalità mercantile, la difesa della causa dei popoli minacciati dal mondialismo, la denuncia dell’individualismo e l’aspirazione ad una vera rinascita europea, un’aria di famiglia?
Altri aspetti del suo pensiero potranno non piacere, come non piaceva a Primo Siena il nominalismo che de Benoist aveva difeso in una certa fase del suo cammino, o la sua critica al Cristianesimo, in nome di un neopaganesimo coniugatosi con la filosofia di Nietzsche, che in Italia suscitò non poche critiche e perplessità.
Il superamento delle categorie destra e sinistra
C’è un punto preciso in cui ho sempre temuto di individuare una effettiva discontinuità in questo cammino di pensiero, quando fu pubblicata in Italia nel 1981 la traduzione dell’antologia Vu de Droite, con il titolo Visto da Destra, nella quale venne esclusa l’introduzione, nella quale si indicava nella critica all’egualitarismo il minimum minimorum delle tante destre possibili. Io, molto più modestamente, quel minimum minimorum lo avevo già fatto mio grazie alla lettura degli scritti di Adriano Romualdi, che, proprio nella critica alla “mitologia egualitaria” aveva indicato essere il nucleo culturale e politico della Destra, nucleo che poi andava a declinarsi in una certa concezione dell’uomo, dello Stato, della storia, della stessa economia.
Ora, io credo che de Benoist, nonostante tutto, sia rimasto dentro l’orizzonte anti-egualitario, in ottima compagnia con quel Giorgio Locchi dal quale egli trasse non pochi motivi di ispirazione, negli anni in cui la Nouvelle Droite prendeva le sue prime mosse e godette di una grande attenzione da parte della stampa, imponendosi nel dibattito culturale, si può dire fino ai nostri giorni.
Se questo è vero, continuerò a riconoscere in de Benoist una delle voci più stimolanti e intelligenti dell’attuale cultura di Destra europea. Penso di meritarmi la libertà di immaginare questo, che potrebbe risultare a qualche suo più recente estimatore e lettore, un semplice desiderio non corrisposto.
Caro Alain de Benoist, ti auguro di avere l’entusiasmo di percorrere ancora un lungo cammino, anche a nome degli amici de “L’Officina”, per le tante affinità elettive che ci legano, per le più o meno evidenti convergenze che ci avvicinano in una comune marcia, verso un altrove nel quale sicuramente ci ritroveremo, nonostante tutto e tutti.