(di Paolo Danieli) Perché ha tanto successo la protesta dei trattori?
Perché s’è diffusa in tutta Europa?
Perché fa simpatia nella gente, che invece di incazzarsi di fronte ai blocchi del traffico applaude e sorride?
Che cos’è che colpisce delle manifestazioni contadine?
Queste domande se le dovrebbe fare prima di tutti la politica. Ammesso che la percepisca nel suo vero significato.
La protesta dei contadini piace
La protesta dei trattori ha successo perché spontanea, nata dal basso, espressione del un disagio reale della categoria che produce il cibo che mangiamo. Non è la solita rivendicazione per spuntare qualche soldo in più. E’ una protesta che investe globalmente il settore primario e non solo. Che parla sì di costi e di prezzi, ma che tocca aspetti complessivi della società: i rapporti fra agricoltura e industria, il mercato globale, il potere dell’Unione Europea, la salubrità dei cibi, la difesa degli interessi nazionali, la cultura e la sovranità alimentare. Argomenti che interessano tutti, non solo i contadini.
Una protesta che s’è diffusa in tutta Europa perché, pur con aspetti differenziati, la causa del malessere degli agricoltori è una conseguenza diretta del sistema economico e politico, asservito alle lobbies e sempre più lontano dai lavoratori e dai popoli.
La protesta degli agricoli fa simpatia perché viene percepita come giusta. Il contadino con le mani callose e sporche di terra è simpatico ed empatico. Ricollega alle nostre radici che, non dimentichiamolo, affondano nella civiltà agricola. E poi la gente sa che hanno ragione.
Anche loro, come tutti noi, si trovano imbrigliati in un sistema che ci sta rendendo tutti schiavi. Che cosa vuol dire coltivare la terra per produrre un quintale di frumento che viene pagato 20 euro mentre il quintale di pane che se ne ricava costa dai 600 ai 1000 euro? Semplice: che i contadini sono diventati i nuovi servi della gleba. L’unica differenza è che il sistema al signorotto ha sostituito la multinazionale. La logica è la stessa.
Ma se l’ideologia liberale ha imposto i suoi modelli come ‘normalità’, le idee del ’900 hanno lasciato la loro impronta nel comune sentire della gente. I grandi movimenti popolari del secolo scorso, ma anche la dottrina sociale della Chiesa, hanno lasciato nelle persone, pur se non se ne rendono conto compiutamente, quegli anticorpi ideologici che riescono ancora, nonostante tutto, a far capire loro quello che è giusto e quello che non lo è. E nel momento in cui percepiscono giusta la protesta contadina è logico che simpatizzino per il popolo dei trattori.
Perché la protesta dei trattori ha colpito l’immaginario collettivo? Per un fatto più semplice di quel che si possa pensare, talmente evidente, che nessuno se ne accorge. La protesta colpisce perché è una protesta. Protestare, in una fase storica in cui nessuno osa farlo più, colpisce.
Ed è significativo che a rompere il muro del silenzio costruito dal potere attorno al popolo siano i contadini. Che fra tutte le categorie sono quella più ancorata alla natura, ai principi della tradizione, al buon senso. E di conseguenza meno condizionabili. Ma poiché per protestare non basta avere coscienza dei propri diritti offesi, ma bisogna anche essere esasperati, le ingiustizie del mercato hanno fato da detonatore. Quel mercato eletto dal liberismo a divinità, ma che in realtà è uno strumento per dominare il popolo e impoverirlo.
In tutto il mondo ‘occidentale’ la ricchezza si sta concentrando nelle mani di un numero sempre più ristretto di grandi capitalisti, mentre la gente che lavora s’impoverisce. I contadini sono i primi ad averne preso coscienza, in quanto sono la categoria presa a bersaglio prima delle altre in quanto quella meno manipolabile.
E’ un déjàvu. Stalin per avere spianata la via della collettivizzazione sterminò milioni di kulaki, i contadini russi piccoli proprietari. Il mainstream, con le sue leggi assurde, vuole far fuori la categoria dei contadini europei per avere mano libera nel svolgimento dei suoi programmi di distruzione dei popoli e delle loro culture.