Lega. il terzo mandato negato. L’Adige ne aveva scritto con una settimana d’anticipo, fornendo anche una lettura critica e disegnando i possibili scenari che ne potrebbero conseguire. Non ci ripetiamo e per coloro che non avessero letto rimandiamo al link dell’articolo. Adesso però le reazioni in casa leghista all’impossibilità di Zaia di fare il 4° giro come governatore del Veneto ci costringono a tornare sull’argomento, che in un paese politicamente maturo dovrebbe essere un capitolo chiuso.
Questi casini non succederebbero se vivessimo in un paese serio, dove le leggi elettorali sono inserite in Costituzione e non sono manipolabili a seconda delle esigenze del momento di questa o quella maggioranza, per favorire questo o quel candidato. Invece c’è l’abitudine di cambiare le regole durante la partita. Non è serio, oltre che destabilizzante.
Ecco allora che di volta in volta si perde tempo a discutere se adottare il sistema proporzionale o il maggioritario, se dare o no un premio di maggioranza, se mettere un limite ai mandati o non metterlo. Roba da Repubblica delle Banane. Questo vale per le regionali, ma anche per tutte le altre consultazioni.
Nella Lega del Veneto ci sono, com’è normale che sia, gli amici di Zaia e quelli di Salvini . La notizia della bocciatura dell’emendamento che avrebbe permesso a Zaia di ricandidarsi alla presidenza della Regione ha fatto andare su tutte le furie i suoi amici che adesso ce l’hanno con Salvini perché lo ritengono responsabile di non aver voluto o di non essere stato in grado di tutelare il loro capo. E già questa è una spaccatura.
La Lega slegata
Poi c’è la frattura con il gruppo che fa riferimento a Lorenzo Fontana, veronese, presidente della Camera, che ha anche una connotazione territoriale, dato che è concentrato soprattutto a Verona. Nel Veneto Orientale invece la fanno da padroni gli Zaia boys: Gianantonio Da Re, eurodeputato di Treviso, Mario Conte, sindaco di Treviso, Alberto Villanova, di Treviso, capogruppo in Regione e Roberto Marcato, assessore regionale padovano, cui s’aggiunge il segretario regionale Alberto Stefani, anche lui di Padova. Questi hanno già minacciato di presentare una lista Zaia in contrapposizione al candidato del centrodestra che verosimilmente dovrebbe toccare a Fratelli d’Italia.
L’emorragia di voti della Lega
Sullo sfondo la continua emorragia di voti della Lega che non contribuisce certo a rasserenare gli animi, specie in vista delle europee dove si calcola che la Lega riuscirà a eleggere solo un deputato. E se Zaia, svanita la possibilità del 3° mandato, dovesse essere candidato capolista, tutti gli altri aspiranti sarebbero automaticamente tagliati fuori.
A complicare ulteriormente la vita alla Lega c’è il grande lavoro ai fianchi che sta facendo Flavio Tosi, che se oggi è il coordinatore veneto di Forza Italia, ha mantenuto una buona rete di rapporti umani e politici con gli ex-compagni di partito leghisti, alcuni dei quali sono già passati con lui.
Anche se in Senato si è già manifestata con chiarezza la volontà di FdI e di FI di non cedere alle pressioni sul 3° mandato, gli Zaia boys continuano a sperare in un ripensamento, magari dopo le europee. A sostegno adducono motivazioni risibili. Come quella che ‘è il popolo a decidere se uno può o non può continuare a governare il Veneto’. Dimenticando che nella democrazia indiretta sono i parlamentari che hanno detto no al 3° mandato a rappresentare il popolo.
Oppure contestano il limite dei mandati, facendo finta di non capire che un conto è il mandato parlamentare o consigliare, assolutamente di carattere legislativo, e un altro è quello dei sindaci e dei governatori che è di carattere esecutivo, ovvero con la gestione di fette di potere che per evidenti motivi di trasparenza è bene che siano sottoposti ad un turn-over che impedisca incrostazioni.
O, infine, proclamano che il Veneto ‘è della Lega’ per definizione e in ogni caso deve avere un presidente leghista. A prescindere dai voti, cioè dalla volontà popolare. Quindi per diritto divino. Ma qui sconfiniamo nella psicopatologia politica.