Nata a Verona la prima bambina con reimpianto del tessuto ovarico crioconservato. Una mamma veronese che nell’adolescenza si era ammalata di Sarcoma di Ewing e per effetto delle chemioterapie non avrebbe più potuto avere figli, dopo 15 anni, ha avuto il reimpianto del tessuto ovarico che le era stato prelevato prima delle terapie e crioconservato. Così il mese scorso ha avuto una bambina che sta benissimo. A Verona è la prima nata con una gravidanza ottenuta attraverso il reimpianto del tessuto ovarico. L’evento eccezionale è stato annunciato ieri con una conferenza stampa.
La bambina sta bene
La mamma, 36 anni, 15 anni fa, la paziente si era rivolta agli specialisti del Policlinico Sant’Orsola di Bologna che l’hanno incoraggiata a intraprendere il percorso di preservazione della fertilità, con l’asportazione del tessuto ovarico per congelarlo e conservarlo in azoto liquido. La signora, quando ormai aveva superato il problema oncologico, si è rivolta all’ospedale di Verona per essere presa in carico con la fecondazione in vitro e essere seguita nella stimolazione del tessuto ovarico reimpiantato.
Quindi è stata presa in carico dai ginecologi del Centro di Pma, dove è attivo il Servizio di Oncofertilità per la presa in carico da parte di medici oncologi e medici della riproduzione delle donne con diagnosi oncologiche. Nel caso della neomamma, la stimolazione del tessuto ovarico reimpiantato ha portato allo sviluppo di un solo follicolo che è stato recuperato e inseminato, ottenendo un embrione. Solitamente, per arrivare all’esito positivo sono necessari 10/15 ovociti, per questa mamma veronese ne è bastato solo uno.
Al mondo, finora, sono state registrate più di 130 nascite avvenute grazie a questa procedura. Un risultato che incoraggia le donne che si ammalano di cancro in età fertile a non rinunciare al sogno della maternità dopo la guarigione. Le probabilità di concludere con successo una gravidanza dopo il reimpianto di tessuto ovarico crioconservato arrivano al 40%.
La tecnica più utilizzata per la preservazione della fertilità dopo le terapie oncologiche è la crioconservazione degli ovociti. Ma in questo caso è stato necessario ricorrere al trapianto di tessuto ovarico perché per la pazientenon sarebbe stato possibile sottoporsi a stimolazione ovarica.
Tecniche di preservazione della fertilità
Si stima che una donna su 49 svilupperà un cancro tra la nascita e i 39 anni per questo la preservazione della fertilità è un fattore importante. In Aoui questo viene garantito da tempo con la crioconservazione degli ovociti prelevati nel caso di ragazze mestruate che possono fare la stimolazione ovarica (dal 2014 ad oggi già fatte 121 crioconservazioni per patologie tumorali). Da un anno, con l’arrivo del prof Stefano Uccella, è stata avviata anche la tecnica più innovativa del prelievo del tessuto ovarico e il successivo reimpianto per le bambine prepubere o per le ragazze che devono avere cure oncologiche rapidamente e non possono aspettare i tempi della stimolazione ovarica.
Finora sono stati fatti 4 interventi di prelievo, due per patologie oncoematologiche in bambine prepubere e due per altre neoplasie. Gli interventi vengono fatti in mini-laparoscopia, non invasivi, che richiedono pochi giorni di degenza e che permettono di riprendere velocemente le altre terapie. Si tratta di un intervento complesso con strumentazione molto piccola (calibro 3,7 mm/ 4 mm) per non compromettere l’intero organo. Ai genitori delle piccole pazienti seguite in Oncoematologia pediatrica, diretta dal dott. Simone Cesaro, viene proposta dall’équipe la possibilità di preservare la fertilità della figlia.
Crioconservazione. Dopo il prelievo in sala operatoria di un frammento di corticale ovarica (la parte più superficiale più esterna dell’ovaio), in laboratorio si effettua la lavorazione del tessuto nel ghiaccio. I follicoli primordiali sono più resistenti rispetto agli ovociti e vengono congelati all’interno di uno strumento con una curva di congelamento programmata.
“La salute riproduttiva: prevenzione, presentazione e cura” è il titolo del convegno che, il 21 e 22 marzo, porterà a Verona i maggiori esperti italiani che si confronteranno su un tema tanto attuale dal momento che il desiderio di gravidanza attualmente non coincide con un’età della popolazione in cui la capacità riproduttiva è massima.
Servono quindi servizi di diagnosi e trattamento dell’infertilità, la possibilità di utilizzare le migliori tecniche di procreazione medicalmente assistita accettabili in termini temporali ed economici, ma anche la preservazione in presenza di patologie che rappresentano un rischio concreto della capacità riproduttiva. La genitorialità analizzata in tutti i suoi aspetti con competenze professionali ed etiche mirate può essere accettata dalla popolazione che ha subito una perdita irreversibile dei propri gameti così da poter utilizzare le tecniche di procreazione assistita eterologa attraverso un percorso consapevole e definito.
Il direttore generale dell’Aqui di Verona Callisto Bravi ha detto: “questa vicenda narra perfettamente come agisce il nostro ospedale. Che significa gestione multidisciplinare del paziente in una struttura all’avanguardia anche dal punto di vista strumentale e con professionisti di eccellenza nei rispettivi settori. Sono questi i fattori grazie ai quali l’Azienda ospedaliera universitaria di Verona è ai primi posti in Italia nella classifica di qualità e fra i 250 migliori ospedali al mondo”.
Il direttore del dipartimento Materno-Infantile, Massimo Franchi ha rilevato che “Verona fa un altro passo avanti verso l’eccellenza. È una giornata importante di grande soddisfazione per il Dipartimento che dirigo, per l’Azienda ospedaliera e per l’università. Il servizio pubblico, quindi gratuitamente, mette a disposizione questa équipe per questa nuova specialità che si chiama onco- fertilità. Il mio Dipartimento è arrivato a questo risultato partendo da lontano, ma oggi credo che possiamo dare veramente il meglio di quello che si può ottenere in Europa.”
“Trattiamo da decenni le pazienti affette da tumori ginecologici.” Ha spiegato il direttore: “Il salto di qualità è stato quello di associare al nostro lavoro di ginecologi- oncologi, quello dei medici della riproduzione, della chirurgia ginecologica oncologica e di biologi competenti. Questo dà ai genitori delle pazienti un senso immediato di sicurezza”.
Stefano Uccella, ginecologo: “Per il prelievo dobbiamo essere estremamente delicati, nelle bambine ovaio e utero sono piccolissimi e dobbiamo evitare di rovinare l’organo che, dopo la chemioterapia, potrebbe tornare a funzionare. Non ci sono tanti centri in Italia che lo fanno, sia per una questione di competenza chirurgica sia perché ci vuole una squadra con altre professionalità che è presente in 6/7 centri in Italia, ospedali pubblici quindi totalmente gratuiti. L’aspetto toccante è il colloquio con queste bambine intorno ai dieci anni della possibilità di diventare mamma, un tema sul quale nessuna si è tirata indietro e tutte hanno voluto mantenersi questa possibilità”.