Santanché. Una bella gatta da pelare per Giorgia Meloni. Un’altra mozione di sfiducia per il suo ministro del Turismo è calendarizzata alla Camera per mercoledì 3 aprile. Questa volta però non è basata solo su una trasmissione televisiva, cioè su “voci”, come era stato obiettato in senso assolutorio.
Com’è nato il caso Santanché
Tutto è nato da un inchiesta di Report che aveva raccolto le testimonianze di alcuni dipendenti della Ki Group spa e di Visibilia srl di cui la Santanché era stata amministratore delegato fino a che non è diventata ministro. Ki Group opera nell’alimentare biologico. Visibilia è una concessionaria di pubblicità. Secondo Report tra il 2018 e il 2019 Ki Group spa avrebbe accumulato debiti per 8 milioni di euro. Per far fronte ai quali era stata creata la Ki Group Srl, che avrebbe acquistato i rami in attivo di Ki Group spa, lasciando quelli in perdita a quest’ultima. In questo periodo sarebbe avvenuto il mancato pagamento del trattamento di fine rapporto ai lavoratori.
Questa volta invece la mozione di sfiducia nei confronti del ministro del governo Meloni nasce dal fatto che nei giorni scorsi la Procura di Milano ha notificato l’avviso di fine indagine alla Santanchè, ad altri soggetti e alla società Visibilia per truffa aggravata nei confronti dell’Inps nella gestione dei fondi per la cassa integrazione durante il Covid per 13 dipendenti per un totale di oltre 126 mila euro. C’è da precisare che il fascicolo per truffa aggravata al momento è a carico di ignoti.
In una relazione della Guardia di Finanza era emerso che gli indagati avrebbero dichiarato che i dipendenti in cassa integrazione di fatto continuavano a lavorare in smart working.
La presunzione d’innocenza vale per tutti. Ovviamente anche per Daniela Santanchè. Ma un ministro è un ministro, non un cittadino qualunque. Quindi onori ed oneri. Per fare il ministro vale il criterio dell’opportunità politica. In poche parole: è opportuno che un ministro oggetto di indagini continui a restare al suo posto? Per evidenti motivi di trasparenza, di rappresentanza, di credibilità non sarebbe più opportuno che di dimettesse in attesa che si chiariscano i fatti che in qualche modo lo toccano?
La Santanchè invece continua a fare il ministro e dice che “nessuno mi ha chiesto le dimissioni”. “Non ho mai partecipato a processi mediatici: se voi pensate che per una chiusura di indagine una persona è condannata lo dite voi”.
Per Giorgia Meloni, che ha un’immagine di assoluta trasparenza, che appena nominata capo del governo tenne a far sapere di non essere ricattabile in alcun modo e che nessuno, neanche gli avversari più duri, si sono mai sognati di accostarla a qualcosa di men che lecito, non dev’essere piacevole avere un ministro in questa condizione.
E il suo disagio è condiviso da molti all’interno di FdI. Secondo un sondaggio presentato di Mannehimer il 31%, cioè quasi 1 su 3, di coloro che si riconoscono in Fratelli d’Italia pensa che la Santanché dovrebbe dimettersi subito e il 56% che lo dovrebbe fare qualora fosse rinviata a giudizio. Rinviata a giudizio, non condannata!
Vuol dire che poco meno del 90% dei fratelli d’Italia prende in considerazione la necessità che il ministro si deva dimettere. Se la Santanché non sente il dovere etico di farlo, se non altro per non mettere in difficoltà il governo e la sua leader, è Giorgia Meloni, che oltre ad essere il capo del governo è anche il capo del partito, che dovrebbe chiedergliele. Sarebbe un atto di chiarezza apprezzato da tutti, anche dall’opposizione, che aumenterebbe il consenso di cui gode e la sua autorevolezza.