(di Gianni Schicchi) Ecco finalmente al Filarmonico la tanto sospirata Messa da Requiem di Andrew Lloyd Webber, pagina somma, arrivata a Verona per diretto interessamento e volontà della sovrintendente Cecilia Gasdia che la apprezzava e agognava di farla eseguire fin dal suo insediamento alla guida della Fondazione Arena.
Pagina mai tanto praticata in giro per il mondo, anche di difficile esecuzione, sia per la parte solistica con alcune asperità nelle zone alte del canto, sia per la presenza di un organico orchestrale particolare – con percussioni, campane, organo, celesta, xilofoni, pianoforte – che richiede esecutori soprattutto disponibili a studiarla. La ricerca di tutto il materiale, per una esecuzione che fosse veramente all’altezza (il Requiem veniva dato integralmente per la prima volta sul territorio nazionale) ha richiesto naturalmente del tempo.
In questa partitura è fortemente presente tutto l’eclettismo di Lloyd Webber, abituato ai musical di Broadway anni Cinquanta/Sessanta, orientati verso uno stile operistico, piuttosto che verso quello oratoriale. Ma qui i vari generi musicali vi spaziano tutti, dal classico al pop, dal jazz alla musica elettronica, fino agli inni classici. Sebbene completamente differente dallo stile di un musical, bisogna ricordare che la musica sacra ha avuto comunque una parte importante nell’educazione musicale del musicista britannico, che precedentemente aveva già presentato composizioni di questo genere al suo festival di Sydmonton.
Requiem. Successo al Filarmonico
L’operazione al Filarmonico si è conclusa positivamente, grazie alla viva partecipazione di tutti gli interpreti. Nella compagnia di canto, il soprano Gilda Fiume ci è parsa travolgente nelle zone alte e sovracute, specie nel terzo movimento del Recordare, che conserva il semplice motivo principale del Requiem, ma anche in seguito, per il temperamento con cui spiega una dizione sferzante ed un fraseggio incisivo, quanto a sottigliezze davvero encomiabili.
Non gli è stato da meno, il tenore Enea Scala, distintosi nell’Ingemisco, nell’Hosanna e nel Lux aeterna, rendendo incandescenti i duetti con lei ed esaltando in maniera mozzafiato i contrasti e i cambi di atmosfera di una composizione tanto particolare, conclusasi poi con un tumultuoso “tutti” orchestrale. Sugli scudi per primo, il coro areniano guidato dal maestro Roberto Gabbiani, per una accorata partecipazione nel Dies Itrae, nel grandioso Offertorium e nel Libera me finale.
Ma superlativo anche il giovane coro di voci bianche preparato da Paolo Facincani con l’iniziale Kyrie, nell’Hosanna e nel Lux aeterna – Libera me finale. Il Requiem ricevette il Grammy Award come migliore composizione classica e piuttosto curiosamente il brano del Pie Jesu arrivò ai primi posti nelle classifiche di vendita di musica pop. Nell’incantevole e delicato pezzo (bissato poi a forte richiesta), ha trovato spazio e felice accoglienza, anche la bravissima voce bianca di Lorenzo Pigozzo (canterà nel ruolo del pastorello alla prossima Tosca in Arena), fattosi a lungo apprezzare dal pubblico già dall’iniziale Kyrie, con l’accompagnamento di una collega.
La direzione del quarantenne statunitense Ryan Mc Adams – fin dall’apertura di concerto con L’isola dei morti di Rachmaninov – è nata da una intima ed evidente esigenza espressiva, condivisa con tutto l’organico a disposizione, per il quale ci pare inappropriato usare il verbo “accompagnare”, per sostituirlo invece con una precisa idea di fare musica “assieme”, che parte da un perfetto equilibrio di sonorità, pesi, colori e accenti e nel sapere sostenere il canto senza mai metterlo in difficoltà.
Una bacchetta matura, fresca, entusiasta, che ha richiesto all’orchestra areniana finezze strumentali e sonorità compatte, con una tensione da rendere appassionante l’intero discorso musicale. Serata di venerdì, com’era prevedibile, “in gloria” (dieci le chiamate in proscenio), con ovazioni a non finire e battimani ritmati per tutti gli interpreti.