(di Simone Alessandro Cassago) Il debito pubblico, è da sempre considerato un indicatore macroeconomico importante, in quanto riesce a far percepire la capacità di solvibilità e la robustezza dell’economia di uno stato; solitamente viene misurato in termini percentuali rispetto al PIL per dare la percezione del suo peso sull’economia di uno stato, rendendolo, al contempo paragonabile fra le economie diverse nazioni.
Cerchiamo ora di focalizzarci sull’andamento del debito pubblico italiano, il quale cresce sempre di più da ormai 30 anni a questa parte (vedi il grafico in apertura), osservandolo nelle prospettive attuali e dell’immediato futuro.
A febbraio 2024, il debito pubblico è risultato pari a 2.872 miliardi di euro, con un rapporto deficit/PIL che si attesta a circa il 137%; attualmente, secondo i dati di Bankitalia, il debito pubblico, rispetto ad inizio anno è in lieve flessione e l’indebitamento netto della pubblica amministrazione si attesta al 4,2% per il 2024 (in discesa rispetto al 4,9% registrato durante il 2023.
Lo scostamento rispetto a quanto previsto dalla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza è guidato principalmente da tre fattori:
- La revisione dei criteri di contabilizzazione dei crediti d’imposta per le agevolazioni delizie ceduti
- L’aumento consistente dei tassi di rendimento dei titoli di stato e, quindi, della spesa per interessi sul debito pubblico
- L’impatto dell’alta inflazione sui consumi pubblici
Debito pubblico, l’incognita dei bonus
Gli effetti finanziari del superbonus 110%, vengono imputati tra le maggiori spese, in particolare nei contributi agli investimenti per periodo 2020 – 2023, anche se i benefici reali per l’economia sono stati positivi (vedi qui il nostro precedente articolo dedicato all’argomento: L’Adige di VeronaSuperbonus: mega-buco nel bilancio, ma il conto economico ne guadagna – L’Adige di Verona (giornaleadige.it).
Sebbene sia probabile un intervento governativo in merito al blocco della cessione fiscale dei crediti, si ipotizza un più razionale utilizzo di tali misure, a seguito delle modifiche sulla disciplina dei bonus edilizi, come previsto dal DL 11/2023; per il 2024, quindi, ci si attende un miglioramento del deficit pari a circa 23 miliardi di euro, derivante dall’annullamento delle minori entrate previste in origine, mentre non si registreranno ulteriori maggiori spese.
L’Italia si trova ad affrontare una serie di sfide per ridurre il proprio rapporto deficit/PIL, tra queste:
- Riduzione della spesa pubblica, individuando arre di inefficienza, e tagliare le spese non necessarie
- Aumento del PIL: la crescita economica è fondamentale per ridurre il rapporto deficit/PIL; il governo deve attuare delle politiche di investimenti strutturali, volti a favorire gli investimenti, l’innovazione e la competitività.
- Riforme strutturali: l’Italia ha bisogno di migliorare l’efficienza della macchina pubblica.
La situazione è comunque più che gestibile, in termini generali, in quanto secondo il Centro Studi di Confindustria, il vento per l’Italia rimane ancora in poppa; a dieci giorni dall’approvazione del DEF, Confindustria ci racconta un a verità assai diversa da quella del Fondo Monetario Internazionale.
Nel rapporto da essa stilato: Tassi, Pnrr, superbonus, energia che succederà alla crescita italiana? si evince che il nostro paese ha sorpreso in positivo nel 2023, con un tasso di crescita del +0,9% annuo, nonostante tassi di interesse ed inflazione alti; siamo, comunque, in netta decelerazione dai valori del 2021/22 che tenevano conto delle immediate riaperture post-covid, anche se tuttora l’economia italiana è più resiliente e cresce maggiormente rispetto ai ritmi pre- pandemia.
Il Pil italiano, è in perfetta linea con la media UE, e nel 2024 (sempre secondo il centro studi di Confindustria) il PIL italiano crescerà in linea con i dati del 2023, con un incremento pari allo 0,9 %, mentre per il 2025 la crescita è attesa poco superiore al 1,1,%.
Tornando a focalizzarci sul deficit pubblico, Confindustria prevede che il rientro del deficit sarà consistente nel 2024, toccando la soglia del 4,4% rispetto al PIL, mentre più lento nel 2025 e pari al 3,9 % del PIL.
Gli economisti di viale dell’Astronomia, specificano che il nostro debito pubblico (il quale sfonderà, per effetto della proroga del Superbonus, il tetto dei 3.000 miliardi di euro), è stimato in risalita al 139,1% del PIL quest’anno e, nel 2025, la previsione prevede una continuazione della risalita al 141,1%; il tutto per effetto di due elementi:
- La differenza tra costo medio del debito e crescita nominale ritorna ad essere positiva.
- Sui conti pubblici, quest’anno, torneranno ad essere operative le regole del Patto di stabilità, largamente modificate ed allentate dall’inizio della pandemia, paventando uno scenario (salvo ulteriori deroghe al momento non prevedibili) in cui l’Italia, assieme ad a diversi altri paesi UE, in cui Bruxelles chiederà interventi volti a migliorare deficit e debito, per riportali verso i parametri fissati dal trattato di Maastricht, ovvero rapporto Deficit/PIL, non superiore al 3%.
Sulla strada della crescita però, ci sono due ostacoli da tenere ben presente:
- Il costo dell’elettricità pagato dalle nostre imprese resta più alto sia agli altri paesi della UE, che a grandi competitor come USA e Giappone, con conseguenti svantaggi di competitività del nostro tessuto produttivo; una riforma del mercato elettrico e l’inserimento di maggiori quote di energia rinnovabile nella generazione elettrica, riuscirebbero ad attenuare i costi energetici in Italia, riducendo la dipendenza estera.
- La graduale eliminazione del Superbonus, in termini di aliquota al 110% e di tutti gli altri incentivi all’edilizia.
Da rimarcare, infine, il ruolo che svolgono le strozzature mondiali nei trasporti, e gli impatti negativi che riportano per la salute della nostra industria; la sicurezza dei trasporti è molto ostacolata dalla criticità che ancora persistente sul Mar Rosso, snodo importantissimo per lo scambio di merci fra Europa ed Asia, considerando che in Italia, più della metà dei volumi di merci in entrata arriva via mare, e le navi trasportano il 42% delle quantità esportate.