(di Alessandra Piubello) Una storia di rinascita che ha del miracoloso. Siamo nell’Alessandrino e più precisamente nei Colli Tortonesi. Il timorasso, autoctono locale, stava completamente sparendo dalla faccia della terra. Nel docufilm San Timorasso il regista Andrea Mignolo intervista alcuni produttori, inserendo il loro percorso in un contesto agricolo più ampio (il paniere alimentare in zona è davvero ricco).

Una scena è fondamentale, quando Walter Massa racconta la sua epifania: la longevità di questo autoctono. Nel 1987 Massa comincia a vinificare il suo timorasso in purezza con il solo mezzo ettaro superstite. Oggi gli ettari sono 400: la sua visione e la sua energia dedicata al territorio hanno unito tanti altri produttori in nome di San Timorasso. Ai locali si sono ultimamente affiancati i langhetti, alla ricerca di un bianco territoriale da proporre unitamente ai rossi.

Timorasso e i suoi colli

Un paesaggio variegato con saliscendi impervi e scoscesi, dai dislivelli improvvisi: un pettine di vigneti che dagli Appennini scivola fino alla pianura toccando i confini di tre regioni, Liguria, Emilia Romagna e Lombardia. Un ambiente ancora incontaminato: vigneti, frutteti, campi, boschi, prati convivono in un mosaico di biodiversità. Ti troverai in una ruralità schiva, dove l’anima agricola è percepibile e il tuo respiro rallenterà, allargandosi.

Scoprirai che i Colli Tortonesi scendono verticalmente lungo sei valli, Scrivia, Curone, Ossona, Grue, Borbera e Spinti, con altezze che arrivano fino ai 1700 metri e con climi differenti al loro interno. Comprenderai che la geologia dei terreni si sviluppa in modo orizzontale, da est verso ovest: il nord è caratterizzato da depositi quaternari: ghiaie, sabbie, limi e argille alternati a formazioni di origine marina; il centro, l’areale più vitato, è impostato su terreni di origine marina, con presenza di marne, arenarie e conglomerati; il sud possiede le rocce più antiche del comprensorio, con formazioni di origine marina. Il mare resta a poca distanza, a circa 30 chilometri.

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Timorasso, il vitigno

I primi documenti risalgono al 1869, pubblicati da Demaria e Leardi: il vitigno viene descritto e autenticato come indigeno. Il vitigno non è generoso nelle rese, mostra affastellamenti nella vegetazione che richiedono tanto lavoro, soprattutto sulla parete verde; il grappolo è fitto, sensibile alla botrite e alle scottature solari. E’ impegnativo, innegabile. Eppure questo vitigno nel tempo sviluppa caratteristiche uniche. Il vino contempla acidità intorno ai 7,5, con pH del 3,20. Questa vena acida e salina che irrora il sorso, lo porta a un’evoluzione sorprendente, tanto che la sua longevità (che evoca il riesling) è oramai proverbiale.

Durante l’anteprima Derthona Due.Zero (qui l’articolo sui nostri migliori assaggi) abbiamo potuto apprezzare alcune annate più agé al walk around tasting, alla presenza di cinquantasei produttori.

Presidente Consorzio Gian Paolo Repetto

Derthona, ecco il progetto

Tortona ai tempi dei romani era conosciuta come Derthona. Il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi, capeggiato da Gian Paolo Repetto (nella foto qui sopra), opportunamente consigliato dal leader spirituale e padre del timorasso Massa, intende valorizzare il connubio vitigno-areale di produzione con un nome che ne sia sintesi e simbolo univoco.

La sottozona Derthona, in attesa di approvazione ministeriale, prevedrà vini fermi da sole queste uve, con rese sotto i 75 q/ha e in tre tipologie: Piccolo Derthona, vendibile dal primo marzo dell’anno successivo alla vendemmia; Derthona, dal primo settembre dell’anno successivo alla vendemmia; Derthona Riserva, dal primo marzo del terzo anno successivo alla vendemmia. Particolare importante è il limite al peso della bottiglia da 0,75: non può superare i 600 grammi di peso.

Derthona, i numeri

Quattrocento ettari (con una crescita contingentata dal 2023) e 1 milione di bottiglie, con una quotazione a ettaro che raggiunge i 200mila euro. I prezzi sullo scaffale sono mediamente alti (il range va dai 16 ai 50 euro), e il Derthona è presente nelle carte dei migliori ristoranti. La limitata disponibilità di bottiglie ha probabilmente contribuito al meritato posizionamento in alto. L’export incide per un 40%, distribuito fra Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Nord e centro Europa.