(di Gianni Schicchi) La Fondazione Arena ha concluso la prima parte della sua programmazione sinfonica al Teatro Filarmonico (la restante partirà ad ottobre) con un grandioso concerto dedicato interamente al genio di Richard Strauss.
Per tale evento si è affidata ad una guida di esperienza internazionale come il direttore tedesco Hansjϐrg Albrecht; ma nel contempo ha voluto anche premiare uno dei più validi componenti della sua orchestra, la prima parte dei corni Paolo Armato, chiamandolo a sostenere in veste di solista il Primo concerto per corno e orchestra.
Un brano in mi bemolle maggiore, che è un omaggio allo strumento del padre Franz Strauss, prima parte dell’orchestra bavarese e noto virtuoso: nei sintetici tre movimenti, in sequenza Allegro-Andante-Rondò Allegro,-. Così il giovane Richard mise alla prova le possibilità tecniche dello strumento, stabilendone una pietra miliare del repertorio.
Paolo Armato, da qualche anno autorevole componente dell’organico areniano, si è fatto subito apprezzare per la brillantezza tecnica e l’espressività musicale, fatta di suoni ricchi e vellutati che bene si sono adattati all’affascinante pagina straussiana, La platea dei Filarmonico gli ha riconosciuto la splendida prestazione con una nutrita, festosa serie di applausi ai quali si sono uniti anche i colleghi professori d’orchestra.
Di poco successivo al concerto è il primo grande successo sinfonico Don Juan, che Strauss compone nel 1888, un “poema sonoro” ispirato al leggendario Don Giovanni riletto però dal poeta tedesco Nikolaus Lenau, che all’incessante impeto del desiderio unisce più profonde angosce e disillusioni. Ricchissima e sensuale è qui l’orchestrazione, oltre che l’invenzione melodica: voci di una libertà formale in cui compaiono, si evolvono, si inseguono tre temi principali. Il virtuosismo del direttore e la sua cura dei particolari hanno concorso a rendere avvincente il Don Juan, dalla caratteristica frenesia autodistruttiva.
La serata si è conclusa con il notissimo Ein Heldenleben (Vita d’eroe): un raro esempio di trionfante autoglorificazione artistica, sebbene l’autoironia sia percepibile solo a tratti. Un brano ampio, strutturato in sei parti senza interruzioni, scritto da Strauss nel 1898, dove il tema letterario è ormai scopertamente autobiografico, con un esplicito significato di riepilogo, dove l’eroe è senza dubbio il compositore stesso, giunto al termine di una sua prima stagione eminentemente sinfonica e alla vigilia della consacrazione come autore di teatro musicale (Salome, Elektra, Il Cavaliere della rosa).
Non senza ironia, l’autore descrive l’eroe, la sua vita, i suoi nemici, il campo di battaglia, le proprie gesta (in cui rivivono, con brevi autocitazioni, i già celebri poemi sinfonici composti fino ad allora, dal Don Juan al Così parlò Zarathustra) e la sua compagna, ritratto della moglie Pauline, affidato ad un ampio assolo di violino.
La “Vita d’eroe” si chiude nella tonalità iniziale, che non può che essere l’eroico mi bemolle maggiore. Proprio un sentimento di trasfigurazione e appagamento è in fondo l’ultima parola di questo poema sinfonico. L’orchestra areniana ne ha fornito una versione brillante, ricca di dettagli (vedi le soluzioni timbriche adottate per il grottesco ultimo tempo, “Des Helden Widersacher” – Ritiro dal mondo e fine dell’eroe), condotta con baldanza ed una notevole adesione emotiva.
In tutto il percorso straussiano Hansjϐrg Albrecht si è confermato un direttore dalla risorse tecniche straordinarie, capace di assicurare la bellezza del suono, la varietà dei colori e l’ampiezza del ventaglio dinamico richiesti da Strauss. La sua lettura ampia e maestosa dello Heldensleben, proposto con la versione consueta conclusiva, ha definito molto bene i caratteri contrastanti del poema autocelebrativo, offrendo una ricreazione della battaglia più convulsa del consueto, ma di ammirevole lindore formale ed uno struggente episodio conclusivo, dove radioso protagonista è stato l’acclamatissimo primo violino Peter Szanto.
Da ultimo, si deve rimarcare la maturità a cui è ormai pervenuto l’organico orchestrale della Fondazione, che nell’incontro con direttori intenzionati a fare davvero Musica, diventa, come venerdì sera, una compagine che può tenere testa alle più quotate formazioni nazionali. E l’entusiastico consenso che il maestro Albrecht le ha rivolto al termine del concerto ne sono una piena conferma.