(di Giovanni Perez) Anche a Verona l’ideologia nichilista della “cancel culture” è riuscita a proiettare le proprie ombre inquietanti, trovando 20 pasdaran, guidati da un’eroina che più dura e pura non si potrebbe, con tanto di Regolamento che consente loro di far passare una delibera a dir poco grottesca. Loro sono 20, i censuratori, ma credono di valere 250.000 teste, ossia l’intera città. Hanno, i pasdaran de noialtri, tuonato: i cittadini che chiederanno l’uso di sale pubbliche, anche se pagano le tasse e le multe che tappano molti buchi del nostro bilancio, devono dichiararsi antifascisti e antitotalitari.
I pasdaran di Tommasi
I 20 pasdaran si ritengono custodi di chissà quale ortodossia e, come “cancel culture” comanda, dividono l’umanità in due, senza mezzi termini, senza dubbi di sorta, senza se e senza ma, come si usava dire qualche anno fa.
Peraltro, sorge spontanea la domanda: ma gli avvocati e i giudici che usano il Codice Civile, che è del 1942, gli uffici tecnici che ricorrono alla legge urbanistica, anch’essa del 1942, coloro che usufruiscono dell’Inail, che nacque nel 1933, o dell’Inps, dovranno tutti loro sottoscrivere una dichiarazione di antifascismo? Non posiamo escluderlo, data l’attuale deriva surreale imboccata dai 20 censuratori, peraltro orgogliosi di essere tali.
Questo perché loro, i pasdaran di cui sopra, sanno tutto: sanno cos’è il Fascismo, cos’è il totalitarismo, cos’è, almeno si può presumere, il Nazismo e il Comunismo; lo sanno meglio di Giovanni Gentile, Volpe, Gramsci, Croce, Salvemini, ma anche di Chabod, De Felice, Nolte, Del Noce. Anzi, pensano di saperlo meglio di Mussolini, che di fascismi ne inventò almeno tre, di Lenin e di Stalin. 20 presuntuosi, dunque, per non dire di peggio.
Quindi, se tu, cittadino di Verona, vorrai usufruire di una sala che contribuisci a mantenere con le tue tasse e le tue multe, devi dichiararti “Anti”, ma anti che cosa? Nessun problema, là dove storici, scienziati della politica e del diritto sono stati tentennanti, sono stati problematici o hanno visto la complessità del loro oggetto di studio, che tanti distinguo sollevava, sopperiamo noi, i pasdaran di Damiano Tommasi, sindaco pro tempore, fino a nuove elezioni.
Si invoca la Costituzione, che già all’articolo 1 contiene però l’eco della fascistissima Carta del Lavoro, datata 1927. Ma la Costituzione, pena la contraddizione, non nega la manifestazione di ideologie totalitarie, a meno che questo non si traduca nel progetto concreto, una volta conquistato il potere, di escludere a priori la possibilità, attraverso l’esercizio del suffragio elettorale, di essere sostituito con un altro governo concorrente.
La storia repubblicana poté così vedere in Parlamento il Partito Comunista Italiano e il Movimento Sociale Italiano. E’ allora evidente che gli autoproclamatisi liberali, che non riconoscono l’altrui libertà di pensiero; i presunti democratici, che tali non sono, non accettando mai il verdetto elettorale quando non li vede vincitori, i presunti “buoni” che si ergono sul piedistallo mettendo all’indice i presunti “cattivi”, perseguono obiettivi molto meno nobili di quelli esibiti. Si tratta in realtà di obiettivi politici, conditi da altissime dosi di mala fede, di demagogia e, non ultima, da mera ignoranza. Cosa non si fa, aggrappandosi ad un imprecisabile antifascismo, pur di strappare sé stessi dal nulla ideale in cui si è sprofondati, nel tentativo di attirare le attenzioni di quanti guardano sempre di più altrove.
Fino a quando esisterà un antifascismo come questo, un Fascismo qualsiasi continuerà ad esistere, come andò a dire Marco Pannella a Giorgio Almirante in un memorabile confronto al XIII Congresso del Msi di Roma nell’ormai lontano 1982. In quella occasione si parlò di cose molto serie, senza citare a sproposito le “Norme transitorie (transitorie, appunto!) e finali” o la Legge Scelba.
Mai avrei immaginato che un giorno mi sarei augurato che qualcuno avrebbe dovuto ora denunciare la vicenda nelle sedi competenti, invocando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, agli articoli 10, 11, 21. Pensavo, infatti, che ai 20 suddetti sarebbe stato sufficiente leggere l’articolo di Filippo Facci, “I sette motivi per non sentirsi obbligati a dichiararsi antifascisti”, ma mi sbagliavo.