(di Sebastiano Saglimbeni) Le avevo spesso osservate fiorite ed odorose nei giorni di giugno nelle campagne della comunità liminese. Vivevo mosto in frammento al paese natale. L’ultima volta, fiorito di non poco tempo, a monte della comunità, vicinissimo alla piazza con la chiesa dedicata a San Filippo d’Agira e sotto la località Puntale. Allora ho scritto i versi che seguono “Ginestre al paese” che, con altri, compongono la silloge poetica ‘Ultimi bagliori del tramonto’.
Non delusione in chi è rientrato al paese se può
annotare versi per l’anima densa delle ginestre
esplosa. Poche sono le ore per goderle
consolate da una brezza attesa che passa agita
il verde del selvatico lussureggiante fico sotto
un cielo terso.
A chi rientra un’alta febbre
infonde la Terra, l’unica da baciare
nel suo silenzio astioso che cime tenere
di ortiche fiorite pare a non finire emetta.
Le ginestre, tegole di capanne, le case
dei vessati campagnoli.
Rientrare , prima dei compiuti baccelli amari,
nel breve tempo del fiore ambra, perché si compia
l’alto ritorno, in nome della luce chiara, che apriva
di maggio alle speranze, e del mandorlo dall’aspro
neonato frutto divorato, come uccelli,
da ragazzi di strada. In luogo di maggesi e semine,
ornamento e risposta della Terra, poema della Terra.
Questo fragile fiore solitario, che coinvolge asciuga
la protervia, se nel verso inteso di un POETA.
Pisolavano – immani la guerra e l’emergenza-
nell’anima, sortita dalla pianta al sole, i campagnoli.
Le ginestre … Da una desolata pendice, la brezza
culla e invia per Puntale puri effluvi, più non inchina
messi, dovizia dei civili di un nero goffo lugubre
abbelliti, che anelavano a grandezze. Come loro, i figli
dei criati che oscuri da lontano ritornano al paese.
Un’onta a chi ricorre all’armonia e la nutre
di un arbusto in fiore, di quiete e di fermezza.
Quell’ultima volta, ch’ero ritornato al paese, avevo rivisto diverse presenze nella piazza Guglielmo Marconi e nei tre caffè. Tra queste, alcuni miei coetanei rimasti dopo la scomparsa di tanti. Ginestre al paese per dire campagne, vicine e lontane. E con le ginestre l’anarchia vegetale, brutta, rispetto ai tempi dei contadini della prima e seconda metà del secolo scorso. Non ne esistono della nuova sparuta generazione. I pochi giovani studiano. Non amano il paese dove sono nati e, conseguentemente, le campagne. Andranno via terminati gli studi con un diploma o con una laurea. Le terre del grano, del granturco, dell’uva, delle olive, delle mandorle, delle nocciole e della frutta un deserto e quasi un deserto il paese.