(di Bulldog) Guardate questi due signori: in jeans, camicia sbottonata, zero formalità. Con un boccale diverso davanti, li potresti benissimo immaginare ad un tavolo dell’Oktoberfest o ad un concerto di Bruce Springsteen. Invece sono i due leader industriali che stanno cambiando la storia – economica e non solo – dell’Europa. Quello coi capelli bianchi, e la pancetta da birra, è Armin Papperger, AD di Rheinmetall AG. Il signore davanti a lui è Roberto Cingolani, AD di Leonardo, già ministro di Mario Draghi alla transizione ecologia e consigliere per l’energia di Giorgia Meloni (l’unico esponente dei governi tecnici a venir cooptato nel primo della destra italiana).
Insieme hanno realizzato una cosa quasi impossibile: creare quel nocciolo duro della difesa europea di cui si parla a vanvera da decenni, che si basa – oggi – su una nuova concezione di carro da battaglia e che chiude con quella certa idea dell’Europa “gigante economico, nano politico e verme militare” che Emma Bonino cristallizzò benissimo durante la guerra di Jugoslavia. Leonardo e Rheinmetall costruiranno insieme i nuovi carri armati in grado di superare l’obsolescenza collettiva generata dalla guerra di Ucraina. Carri che, nel volgere di una dozzina d’anni, renderanno assai complicato invadere l’Europa.
Dopo il 1989, i carri armati sembravano destinati all’oblio. Non a caso gli Stati – Italia compresa – li hanno mandati nei depositi ed hanno preferito investire in navi ed aerei per proiettare “altrove” la loro potenza e la loro influenza politico-militare. Vladimir Putin ha rimesso sul terreno queste macchine e gli ucraini hanno dato fondo alle riserve tanto russe che occidentali: in battaglia vanno mezzi vecchi anche di cinquant’anni che sono prede sempre più facili per droni e artiglieria. Il costo in vite umane è allucinante.
E la rivoluzione dove sta? da sempre il sistema militar-industriale fa i soldi con le guerre, e allora? Allora lo scenario cambia e di molto per l’Italia.
Attenti a quei due, il nuovo scenario
Primo. Leonardo e Rheinmetall insieme faranno mezzi che avranno la superiorità sul campo di battaglia. L’Italia investirà 20 miliardi (meno di quanto dato per il reddito di cittadinanza) di cui il 60% verrà speso in aziende e lavoro italiano; la joint venture avrà sede in Italia (il pubblico fa insomma quello che il privato – Fiat- non è riuscito a fare con Stellantis…) e il mercato che si apre è quotato oggi circa 50 miliardi di euro.
Secondo. Se prima era l’Eni il nostro ministero degli esteri, oggi quel ruolo lo sta svolgendo Leonardo. Le sue tecnologie – così come quelle di FinCantieri altra azienda pubblica leader nella difesa – sono lo stato dell’arte e su queste si costruiscono alleanze inedite: con Regno Unito e Giappone per l’aereo da combattimento di sesta generazione; coi francesi per le fregate Fremm che vengono comprate pure dagli USA; coi tedeschi per i sottomarini di ultima generazione; di nuovo coi tedeschi per i mezzi terrestri che saranno l’ossatura della prossima difesa comune.
Terzo. L’equilibrio delle forze si sposta in Europa. Oggi “a costruire” la nuova politica di difesa sono Roma, Berlino e Varsavia. Parigi è out, le resta il deterrente nucleare che, però, è inutilizzabile nella politica attuale e non beneficia delle nuove ricadute economiche. Vuol dire una leadership tecnologica che inverte il declino industriale nonché nuove responsabilità e una nuova visibilità: sarà difficile flirtare con Mosca quando sei impegnato a colpi di miliardi a rendere impotente l’Armata Rossa.
Sarà difficile accettare di prendere ancora schiaffoni da Donald Trump senza reagire. Ma soprattutto vorrà dire che non potremo più lasciare ad altri le crisi regionali e che dovremo sporcarci le mani. Oggi abbiamo assetti militari italiani a due ore dal conflitto in Ucraina e a poche giornate di navigazione da Taiwan, prossima crisi attesa. Un caso?
Quarto. L’Italia ha scelto evidentemente la difesa come “terreno fatale” della sua nuova politica estera. Qui girano molti più soldi che per il piano Mattei (idea bellissima ma dalle poche risorse). Questo vuol una postura forte in Europa e un grande potere negoziale per il nostro premier, ma significa anche che la nostra politica – maggioranza e opposizione – dovrà d’ora in poi andare oltre alle banali dichiarazioni di principio e formarsi sulle sfide di un settore che la cultura democristiana e cattocomunista aveva messo in secondo piano. Serve una professionalità più alta e più diffusa nei nostri decisori politici.
Perchè – consapevolmente o no – abbiamo deciso di giocare nel solo campionato del mondo che conta davvero e non possiamo fidarci di uno Spalletti qualunque.