(di Gianni Schicchi) Curiosa, ma sicuramente stimolante, l’operazione dell’Estate Teatrale Veronese, nell’accostare il Romeo e Giulietta di Shakespeare ad una un’opera teatrale contemporanea quale l’After Juliet della drammaturga e sceneggiatrice scozzese Sharman Macdonald. Un dittico, chiamato prato inglese, andato separatamente in scena al Teatro Romano, mercoledì 17 e giovedì 18, che ha destato un certo interesse fra il pubblico veronese.
Soprattutto il secondo lavoro, nato nel 1999 da un’idea della famosa attrice britannica Keira Knightley, dopo aver assistito al film Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann, con Leonardo Di Caprio e Claire Danes. La giovanissima Keira Knightley, allora appena quattordicenne, chiese alla madre di scrivere il seguito della vicenda della celebre tragedia di Shakespeare. E Sharman Macdonald, anche notissima scrittrice, accolse la richiesta della figlia componendo l’After Juliet, che le fu poi commissionato per la partecipazione al National Theatre Connections dell’Heatham House Youth Center, un festival annuale del teatro giovanile di Londra, in cui compagnie regionali si sfidano con brevi spettacoli, creati da commediografi affermati.
La particolarità di questo testo, andato in scena nella traduzione di Barbara Nativi e Luca Scarlini, consiste nel recuperare alcuni personaggi minori del Romeo e Giulietta shakespeariano, per raccontare con intensità visionaria e lampi di arguzia, una vicenda ambientata in una città attraversata da lotte e odi mai placatisi, partendo proprio da dove il dramma di Shakespeare si era concluso. La premessa alla base della commedia è quindi: “Cosa succede ai Capuleti e ai Montecchi, dopo la morte dei due sfortunati amanti?”.
Protagonista dell’opera è Rosalina, cugina di Giulietta e in precedenza spasimante di Romeo. Seppur invaghita del giovane Montecchi, la ragazza ha sempre giocato a fare la difficile con lui, spingendolo così involontariamente tra le braccia proprio di Giulietta. Torturata dalla perdita del suo amore, Rosalina diventa una ragazza imbronciata e capricciosa, a volte perfino schizofrenica. Fa quindi di tutto per essere eletta a dirigere la famiglia Capuleti. Nel frattempo in città è in corso un processo, per stabilire chi siano i colpevoli della morte di Giulietta e di Romeo. Sono accusati, tramite la voce di un gracchiante altoparlante e per motivi differenti tra loro, Frate Lorenzo, la balia Angelica, il servo Pietro e il farmacista di Mantova, reo della preparazione del veleno venduto a Romeo.
Il trattato tra Capuleti e Montecchi si trasforma così rapidamente in una specie di farsa, poiché da entrambe le parti si continua a covare vendetta, sottolineata da un clima tenebroso, di suoni martellanti ai quali partecipano alternativamente i vari protagonisti in veste di musicisti. Viene inoltre a crearsi un particolare gioco amoroso tra Benvolio e la stessa Rosalina, nel quale la ragazza sembra riadottare la medesima fallimentare strategia adoperata con Romeo, mentre Benvolio viene consigliato da Valentino, gemello di Mercuzio, di starle lontano.
Sia Rosalina che Valentino, capifamiglia delle due fazioni si preparano alla guerra, dirigendosi all’epilogo della vicenda, nel cimitero per recuperare delle armi dalle tombe. Tra i Capuleti, tuttavia, c’è chi come Petruccio (fratello di Tebaldo) preferisce mantenere salda la tregua e vivere in pace.
A poco a poco il processo esprime i suoi verdetti attraverso il solito altoparlante: sia Frate Lorenzo che il servo Pietro vengono completamente scagionati, mentre la nutrice Angelica è bandita per sempre dalla città. L’unico a ricevere la condanna a morte sarà il farmacista. Il culmine dello spettacolo arriva durante un’elezione per determinare chi, tra Rosalina e Petruccio, succederà a Tebaldo. L’intervento di Valentino getta le basi per un duello con Rosalina e solo la comparsa di Benvolio riuscirà a placare gli animi.
La faida tra le due famiglie scaligere non cessa nella versione della Macdonald, come lotta all’ultimo sangue dei giovani eredi, ma la regia di Filippo Dini raccoglie però la sfida dell’autrice proponendo un mondo onirico, dove la realtà è contaminata da visioni di sogno e da ombre, di fantasmi dolenti e disperati che chiedono giustizia, pace e ancora amore. La messa in scena proietta chiaramente la vicenda in un futuro molto simile al nostro presente, funestato dai tempi bui delle guerre, dove l’eredità dei grandi schiaccia il desiderio dei più giovani, celebrandone però lo spirito coraggioso e incosciente, con tutte le sue contraddizioni dell’età.
Una commedia nera, ricca di pathos, che ci chiede di guardare con pietà tutti i morti e di onorarli celebrando non l’odio, ma la fratellanza e in ultimo la vita stessa. In un ambiente violento nasce così l’amore tra due ragazzi, Rosalina e Benvolio: la cosa più bella, più istintiva legata alla natura più straordinaria dell’essere umano, la vera e autentica strada da percorrere.
Brava la Scuola del Teatro Stabile di Torino, diretta da Filippo Dini con la sua ventina di attori neodiplomati, intenti a sostenere uno spettacolo che in parte è anche sforzo atletico per la fresca adesione dei giovani interpreti, che già la sera precedente avevano affrontato il dramma di Shakespeare.
Fra loro, la Rosalina di Maria Trenta si erge fra tutti con i suoi rapimenti improvvisi, le esaltazioni e le paure angosciose, tutta protesa a consumare una piena, innata energia, che bene si è accompagna a Matteo Federici (la sera precedente ottimo Paride), un Benvolio sognante e rapito, ma tutto bruciato da una folgorante passione.
Molti consensi vanno anche a Christian Gaglione, un Valentino (fratello di Mercuzio) irriverente e imprevidente, giustamente baldanzoso e al rappacificante Petruccio di Francesco Halupca che alla fine fa innamorare la sua imprevedibile e irascibile Alice (Cecilia Bramati). Nelle appropriate misure interpretative gli altri, Emma Francesca Castello (Bianca), Greta Petronillo (Helena), Maria Teresa Castello (Rhona), Hana Daneri (Livia), Sara Gedeone (la balia Angelica), Diego Pleuteri e Francesco Blottin (due Capuleti), accolti al termine dai calorosi applausi ritmati del pubblico.
Di una attraente ed emozionante interesse le varie scene d’assieme, dove i giovani interpreti si sono rivelati anche validi strumentisti, al violino, con cui inizia e finisce la commedia, alla pianola, flauto, chitarra e varie percussioni nei tenebrosi brani musicati da Massimo Cordovani. Suggestive le scene di Gregorio Zurla, le luci di Francesco Dell’Erba, i costumi di Alessio Rosati. La produzione è del Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale in coproduzione col Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale.
Prima di After Jiuliet è stato consegnato a Elena Pigozzo, il premio del concorso letterario indetto dall’Estate Teatrale, “una celebrazione dell’amore vissuto e cantato dai poeti di ogni tempo”, che ha visto l’adesione di oltre venti partecipanti.