(di Gianni Schicchi) La prima nazionale di “Molto rumore per nulla” al Teatro Romano è terminata col grande consenso di un numeroso pubblico che l’ha applaudita spesso a scena aperta lungo tutto il corso della recita. La celebre commedia di Shakespeare ha vinto ancora nella brillante versione di Veronica Cruciani, nata dalla collaborazione tra la Compagnia Pirandelliana, il Teatro Stabile del Veneto e l’Estate Teatrale Veronese.

Una commedia che si presta sempre a molte considerazioni, distinguendosi molto poco da una tragedia, ambientata in un mondo simile a molti testi tragici shakespeariani. Ma per paradosso questo mondo viene rappresentato con una leggerezza che lo fa apparire solare come il carattere della sua protagonista Beatrice e della divertita compagnia che l’accompagna, consentendo a Shakespeare continue ed esilaranti distorsioni del linguaggio. Ma dove c’è pure l’allegra guerra tra i due protagonisti Beatrice e Benedetto, a tenere gli spettatori col fiato sospeso, anche se l’esito del loro conflitto pare evidente fin dall’inizio. 

Si inizia con Claudio, un fiorentino giunto a Messina al seguito di don Pedro principe di Aragona, che ottiene in sposa la dolce Ero, figlia di Leonato. Ma quando le nozze stanno per celebrarsi fra il giubilo degli invitati, l’innamorato si trova costretto ad infrangere clamorosamente la sua parola perché un intrigo ordito dal perfido don Giovanni – fratello naturale del principe ed invidioso dei favori che il fiorentino gode presso di lui – gli ha fatto credere che la sua innamorata sia già una fanciulla corrotta. 

L’infamante accusa fa svenire l’infelice Ero, strazia di dolore suo padre, mette tutti nella più grande costernazione, ma accende di vibrato sdegno Beatrice, nipote di Leonato, che rifiuta di dare una veste veritiera alla calunnia con cui si è voluto colpire la virginale purezza della cugina. Il deliquio della sposa ripudiata pare subito mortale e su suggerimento di frate Francesco (il quale sa che spesso nelle faccende d’amore tutto non è proprio irrimediabile) si insiste nel dar credito a tale triste notizia, finché tre spericolate e tremebonde guardie di notte hanno la ventura di scoprire e di denunciare la falsa e perfida origine dell’accusa.

E così mentre don Giovanni, paventando un giusto castigo, fugge a spron battuto da Messina, Claudio – che reso conscio della purezza della sua innamorata ne aveva già pianto la dolorosa dipartita – può infine scambiare il bacio nuziale con la sua bella ritrovata Ero. 

Però “Molto rumore per nulla” non è soltanto una storia amorosa, ma anche una specie di manuale di galanteria per i timidi o un trattato di “chi disprezza compra”. Al seguito di don Pedro c’è pure il gentiluomo padovano Benedetto; fra lui e Beatrice esiste del tenero, ma siccome né l’uno né l’altro sa o vuole dichiararsi, i due non trovano di meglio che nascondere il loro amoroso impaccio sotto la copertina di uno sprezzo ostentato per l’altro sesso. Schermaglie vivacissime ed insistenti scontri si succedono fra i due, con gran gusto di amiche e amici che conducono così bene il loro gioco da far cadere i due spasimanti nella vischiosa, ma carezzevole ragnatela di Cupido.

Questa seconda storia d’amore, tanto festosa e brillante quanto l’altra appare patetica e lacrimevole, viene legata e commista alla prima perché le faccia da sostegno, ma finisce per sopravanzarla. Infatti, mentre i caratteri di Ero e Claudio appaiono appena abbozzati, quelli di Beatrice e Benedetto balzano vivi e ricchi di chiaroscuri. 

Molto rumore per nulla è un titolo appropriato per raccontare anche di intrighi, sfide, minacce, questioni, arresti, finte morti, ma dove tutto finisce in un soffio lieve, in un niente, tanto che il principe d’Aragona, al quale viene portata la notizia della cattura del fratello fuggiasco, preferisce rimandare ogni triste incombenza al domani, per dare il via ad una notte di grandi festeggiamenti.

Dallo spettacolo in scena è venuto un senso gradevole come di un dolce ben lievitato, dove il merito va assegnato alla sapiente regia di Veronica Cruciani che ha mantenuto intatta la friabilissima sostanza di zucchero con cui Shakespeare ha confezionato il suo dolce. Bastava un niente, una sottolineatura eccessiva, un ritardo, una pesantezza e tutto si sarebbe infranto e disperso per sempre; invece tutto è filato con gusto e grande divertimento per gli spettatori.  

Fra gli interpreti, Sara Putignano nei panni della furba ed affascinante Beatrice, è una donna di squisita sensibilità ed un’attrice di una certa classe. Sa tornire perfettamente il linguaggio del suo personaggio con una gamma di gustose sfumature espressive. Lodo Guenzi, non ha abbandonato del tutto i panni del musicista (si accompagna infatti con la chitarra in due sue belle canzoni preparate per questo debutto veronese), ma è tornato decisamente alla recitazione impartita a suo tempo da Nico Pepe a Udine, mettendo in luce, con accorto studio, il complesso di inferiorità, di amorosa timidezza di cui soffre il suo Benedetto, fino a liberarlo festosamente da ogni pastoia. 

Marco Quaglia, nella breve parte del livido don Giovanni, ha dato un bel saggio delle sue notevoli doti di equilibrio, di ponderatezza, di logica interpretativa. Tutta pepe e giovinezza trasognata la Ero di Romina Colbasso, mentre il don Pedro di Paolo Mazzarelli ci è parso giustamente signorile, elegante, un tantino lezioso, quanto basta per un “grande di Spagna”. Pieno di nobili impulsi invece il Leonato di Francesco Migliaccio che ha saputo mirabilmente entrare ovunque nel gioco scenico, anche quando si è affidato alla spassosa scena delle guardie notturne assieme alla Colbasso e a Quaglia.

Bene tutti gli altri: dal fiorentino Claudio di Lorenzo Parrotto, giustamente impulsivo quando deve ripudiare la sua Ero, ma non solo, al gustoso prete di Gianluca Pantaleo (anche Crescione e Baldassarre), ai seguaci di don Giovanni, il Borraccio di Davide Falbo (efficientissimo nel sapersi rovinare con le proprie mani quando si vanta delle sue losche imprese) e il Corrado e Sanguinello dell’esuberante Andrea Monno, fino alla spassosa Marta Malvestiti, come Antonia e Margherita. Questi ultimi con Migliaccio, impersonanti il terzetto delle guardie notturne, meritano una notazione particolare per il modo gustoso, saporitissimo, intelligente con cui hanno arricchito di spunti vivaci e felici la loro scena. 

L’adattamento della brillante commedia è della stessa regista Veronica Cruciani e di Margherita Laera (che ha operato anche la traduzione del testo). Commedia che si è valsa pure delle luci di Gianni Staropoli, delle fiorite scene di Anna Varaldo, dei costumi di Erika Carretta, delle movenze ballettistiche di Marta Ciappina e Norman Quaglierini, con la musica di Nicolò Carnesi e di Lodo Guenzi.