(di Giorgio Massignan) Ormai da anni si sta discutendo su cosa fare nelle zone del comune di Verona rimaste ancora, miracolosamente verdi, nonostante il PAQE regionale (Piano d’Area Quadrante Europa) ne prevedesse una possibile edificazione.
Per ovvi motivi di spazio, ne cito tre: La Marangona e lo Scalo Merci della Ferroviaa Verona sud e l’area del Nassar a Parona.
Marangona
Sulla Marangona si è detto e scritto parecchio. In questi giorni è in essere una crisi politica della giunta comunale proprio su quell’argomento. In consiglio comunale è stato approvato il piano del primo modulo, quello di corte Alberti. Ne mancano altri quattro, prima di decidere di cementificarli, sarebbe opportuno valutare altre scelte che non provochino un ulteriore consumo di suolo.
Scalo Merci
Sullo Scalo Merci non sono certo mancati i dibattiti, le proposte e le controproposte. Sono iniziate nel lontano 1982, anno in cui il Consorzio Zai cedette gratuitamente all’Ente Ferroviario 250.000 mq in zona Cason, area Quadrante Europa, per spostare lo Scalo Merci dalla sede attuale e liberare i 500.000 mq tra Borgo Roma e zona stadio. Il valore dell’area ceduta a 0 euro dal Consorzio alle Ferrovie si aggirava sui 2 milioni di euro.
Le Ferrovie, investendo per realizzare il terminal al Quadrante Europa, hanno certamente favorito lo sviluppo economico veronese, portando l’interporto a diventare il primo in Italia ed uno dei più importanti in Europa. Ma, la cessione gratuita di quei 250.000 mq non è stata compensata con un accordo per uno scambio di parte o di tutta l’attuale area dello Scalo Merci. Così, le Ferrovie, ora, vogliono ricavarne un certo reddito, avendolo iscritto a bilancio per un valore di 70 milioni.
Nassar
Il terzo esempio è l’area del Nassar a Parona, a pochi metri dall’Adige, dove esiste ancora uno dei rari casi di rapporto, senza soluzione di continuità, tra il terreno coltivato e le rive del fiume. Si tratta di un residuo delle vecchie aree edificabili del precedente P.R.G. del 1975, che prevedeva una città di oltre 400.000 abitanti e su cui, ora, la proprietà intenderebbe costruire una serie di palazzine.
Aggiungo che sarebbe stato opportuno che, prima di iniziare gli studi per il nuovo PAT (Piano di Assetto del Territorio), si fosse adottato un Piano di Salvaguardia, per congelare l’attuale assetto territoriale e quindi valutare e definire il nuovo PAT a cosiddette “bocce ferme”.
Risulta chiaro come, buona parte del futuro urbanistico del nostro territorio, dipenda dalla destinazione d’uso di un Piano regionale, il PAQE, vecchio, obsoleto e realizzato quando le condizioni e le esigenze economiche, sociali, ambientali e culturali erano molto diverse dalle attuali. Domanda: che fare?
Risposta 1: la prima iniziativa da prendere, ma che avrebbe dovuto essere stata presa dalle varie Amministrazioni Comunali, per evitare di subire le destinazioni d’uso di un piano superato come il PAQE, è quella di trattarne in Regione una modifica sostanziale per adeguarlo alle esigenze attuali. È sufficiente osservare la ZAI per capirne il cambiamento. Abbiamo contato oltre 30 aree industriali dismesse da rigenerare e il PAQE prevede altre edificazioni a Verona sud.
Risposta 2: iniziare la mappatura di tutte le aree industriali dismesse, per valutare quali funzioni potrebbero ospitare e come rigenerarle. Quindi, valutare il loro inserimento in un piano urbanistico complessivo del territorio veronese. In questo modo, si eviterebbe un ulteriore consumo di suolo.